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martedì 25 giugno 2013

San Giovanni Battista

La notte di san GiovanniStampaE-mail
Cattedrale di Chartres
Profeta ed eremita, grande Giovanni Battista, tu che ci hai guidato fin sulla soglia del tuo deserto...
24 giugno
Ora, dove i colli di Linguadoca azzurreggiano di vigne
e nuotano verso i cigli delle basse giogaie, brune come valve,
mille villaggi cominciano a dar nomi alla tua notte con fuochi.
Le fiamme che si destano aperte come la fede,
schiudendo occhi selvaggi e innocenti, da colle a colle,
nel vespro di mezza estate, ardono ai crocicchi senza età
questi loro fuochi pagani e convertiti.
E i bruni covoni del raccolto della dolce estate s'alzano
nei campi profondi dove da duemila anni, san Giovanni,
i tuoi fuochi son giovani fra noi;
e gridano, là, forte, come la tua testimonianza dal deserto
presso i boschi di grigi ulivi,
presso i crocicchi delle vigne
dove una volta i covoni piansero sangue
per avvertire le falci dei manichei.

E nei nostri cuori, qui, in un'altra nazione,
ha luogo la tua profonda notte di mezza estate.
E notte di fuochi, in cui tutti i pensieri,
ogni rovina del rumoroso mondo nuotano via dalla conoscenza come foglie,
o fumo sulle pozze del vento.
Oh, ascoltate quel buio, ascoltate quel buio fondo,
ascoltate quei mari di buio sulle cui rive stiamo e moriamo.
Possiamo ora averti, pace, possiamo ora dormire nella Tua volontà, dolce Dio di pace?
Possiamo ora avere il Tuo Verbo e in Lui riposare?
Profeta ed eremita, grande Giovanni Battista,
tu che ci hai guidato fin sulla soglia del tuo deserto,
tu che hai vinto per noi il primo lieve sapore che si prova lasciando il mondo:
quando potremo mangiare le cose che abbiamo appena assaggiato?
Quando avremo il santo favo di miele della tua vasta solitudine?
Tu tieni nelle tue mani, ah, più del Battesimo:
i frutti e le tre virtù e i sette doni.
Aspettiamo la tua intercessione:
o dobbiamo morire senza la grazia sull'orlo di quelle impossibili rive?
Fa' divampare, fa' divampare in questo deserto
le tracce di quei fuochi meravigliosi;
purificaci e guidaci nella nuova notte,
con la potenza di Elia
e trova per noi la sommità dell'amore e della preghiera
che la Sapienza esige da noi, o amico della Sposa!
E portaci alle tende segrete, i sacri,
inimmaginabili tabernacoli che ardono sui colli del nostro desiderio!

lunedì 17 giugno 2013

Questa sera il papa. Che ne pensate?

Cari fratelli e sorelle!
Con animo grato al Signore ci ritroviamo in questa Basilica di San Giovanni in Laterano per l’apertura dell’annuale Convegno diocesano. Rendiamo grazie a Dio che ci consente questa sera di fare nostra l’esperienza della prima comunità cristiana, la quale "aveva un cuore solo e un’anima sola" (At 4,32). Ringrazio il Cardinale Vicario per le parole che tanto cortesemente e cordialmente mi ha rivolto a nome di tutti e porgo a ciascuno il mio saluto più cordiale, assicurando la mia preghiera per voi e per coloro che non possono essere qui a condividere questa importante tappa della vita della nostra Diocesi, in particolare per coloro che vivono momenti di sofferenza fisica o spirituale.
Ho appreso con piacere che in questo anno pastorale avete cominciato a dare attuazione alle indicazioni emerse nel Convegno dell’anno passato, e confido che anche in futuro ogni comunità, soprattutto parrocchiale, continui ad impegnarsi a curare sempre meglio, con l’aiuto offerto dalla Diocesi, la celebrazione dell’Eucaristia, particolarmente quella domenicale, preparando adeguatamente gli operatori pastorali e adoperandosi affinché il Mistero dell’altare sia vissuto sempre più quale sorgente da cui attingere la forza per una più incisiva testimonianza della carità, che rinnovi il tessuto sociale della nostra città.
Il tema di questa nuova tappa della verifica pastorale, "La gioia di generare alla fede nella Chiesa di Roma – L’Iniziazione Cristiana", si collega con il cammino già compiuto. Infatti, ormai da parecchi anni la nostra Diocesi è impegnata a riflettere sulla trasmissione della fede. Mi torna alla memoria che, proprio in questa Basilica, in un intervento durante il Sinodo Romano, citai alcune parole che mi aveva scritto in una piccola lettera Hans Urs von Balthasar: "La fede non deve essere presupposta ma proposta". E’ proprio così. La fede non si conserva di per se stessa nel mondo, non si trasmette automaticamente nel cuore dell’uomo, ma deve essere sempre annunciata. E l’annuncio della fede, a sua volta, per essere efficace deve partire da un cuore che crede, che spera, che ama, un cuore che adora Cristo e crede nella forza dello Spirito Santo! Così avvenne fin dal principio, come ci ricorda l’episodio biblico scelto per illuminare la verifica pastorale. Esso è tratto dal 2° capitolo degli Atti degli Apostoli, nel quale san Luca, subito dopo aver narrato l’evento della discesa dello Spirito Santo a Pentecoste, riporta il primo discorso che san Pietro rivolse a tutti. La professione di fede posta alla conclusione del discorso – "Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso" (At 2,36) – è il lieto annuncio che la Chiesa da secoli non cessa di ripetere ad ogni uomo.
A quell’annuncio - leggiamo negli Atti degli Apostoli - tutti «si sentirono trafiggere il cuore» (2,37). Questa reazione fu generata certamente dalla grazia di Dio: tutti compresero che quella proclamazione realizzava le promesse e faceva desiderare a ciascuno la conversione e il perdono dei propri peccati. Le parole di Pietro non si limitavano ad un semplice annuncio di fatti, ne mostravano il significato, ricollegando la vicenda di Gesù alle promesse di Dio, alle attese di Israele e, quindi, a quelle di ogni uomo. La gente di Gerusalemme comprese che la risurrezione di Gesù era in grado ed è in grado di illuminare l’esistenza umana. E in effetti da questo evento è nata una nuova comprensione della dignità dell’uomo e del suo destino eterno, della relazione fra uomo e donna, del significato ultimo del dolore, dell’impegno nella costruzione della società. La risposta della fede nasce quando l’uomo scopre, per grazia di Dio, che credere significa trovare la vita vera, la "vita piena". Uno dei grandi Padri della Chiesa, Sant’Ilario di Poitiers, ha scritto di essere diventato credente nel momento in cui ha compreso, ascoltando il Vangelo, che per una vita veramente felice erano insufficienti sia il possesso, sia il tranquillo godimento delle cose e che c’era qualcosa di più importante e prezioso: la conoscenza della verità e la pienezza dell’amore donati da Cristo (cfr De Trinitate 1,2).
Cari amici, la Chiesa, ciascuno di noi, deve portare nel mondo questa lieta notizia che Gesù è il Signore, Colui nel quale la vicinanza e l’amore di Dio per ogni singolo uomo e donna, e per l’umanità intera si sono fatti carne. Questo annuncio deve risuonare nuovamente nelle regioni di antica tradizione cristiana. Il beato Giovanni Paolo II ha parlato della necessità di una nuova evangelizzazione rivolta a quanti, pur avendo già sentito parlare della fede, non apprezzano, non conoscono più la bellezza del Cristianesimo, anzi, talvolta lo ritengono addirittura un ostacolo per raggiungere la felicità. Perciò oggi desidero ripetere quanto dissi ai giovani nella Giornata Mondiale della Gioventù a Colonia: "La felicità che cercate, la felicità che avete diritto di gustare ha un nome, un volto: quello di Gesù di Nazareth, nascosto nell’Eucaristia"!
Se gli uomini dimenticano Dio è anche perché spesso si riduce la persona di Gesù a un uomo sapiente e ne viene affievolita se non negata la divinità. Questo modo di pensare impedisce di cogliere la novità radicale del Cristianesimo, perché se Gesù non è il Figlio unico del Padre, allora nemmeno Dio è venuto a visitare la storia dell’uomo, abbiamo solo idee umane di Dio. L’incarnazione, invece, appartiene al cuore del Vangelo! Cresca, dunque, l’impegno per una rinnovata stagione di evangelizzazione, che è compito non solo di alcuni, ma di tutti i membri della Chiesa. L'evangelizzazione ci fa sapere che Dio è vicino: Dio ci è mostrato. In quest’ora della storia, non è forse questa la missione che il Signore ci affida: annunciare la permanente novità del Vangelo, come Pietro e Paolo quando giunsero nella nostra città? Non dobbiamo anche noi oggi mostrare la bellezza e la ragionevolezza della fede, portare la luce di Dio all’uomo del nostro tempo, con coraggio, con convinzione, con gioia? Molte sono le persone che ancora non hanno incontrato il Signore: ad esse va rivolta una speciale cura pastorale. Accanto ai bambini e ai ragazzi di famiglie cristiane che chiedono di percorrere gli itinerari dell’iniziazione cristiana, ci sono adulti che non hanno ricevuto il Battesimo, o che si sono allontananti dalla fede e dalla Chiesa. E’ un’attenzione pastorale oggi più che mai urgente, che chiede di impegnarci con fiducia, sostenuti dalla certezza che la grazia di Dio sempre opera, anche oggi, nel cuore dell’uomo. Io stesso ho la gioia di battezzare ogni anno, durante la Veglia pasquale, alcuni giovani e adulti, e incorporarli nel Corpo di Cristo, nella comunione col Signore e così nella comunione con l'amore di Dio.
Ma chi è il messaggero di questo lieto annuncio? Sicuramente lo è ogni battezzato. Soprattutto lo sono i genitori, ai quali spetta il compito di chiedere il Battesimo per i propri figli. Quanto grande è questo dono che la liturgia chiama "porta della nostra salvezza, inizio della vita in Cristo, fonte dell’umanità nuova" (Prefazio del Battesimo)! Tutti i papà e le mamme sono chiamati a cooperare con Dio nella trasmissione del dono inestimabile della vita, ma anche a far conoscere Colui che è la Vita e la vita non è realmente trasmessa se non si conosce anche il fondamento e la fonte perenne della vita. Cari genitori, la Chiesa, come madre premurosa, intende sostenervi in questo vostro fondamentale compito. Fin da piccoli, i bambini hanno bisogno di Dio, perché l'uomo dall'inizio ha bisogno di Dio, ed hanno la capacità di percepire la sua grandezza; sanno apprezzare il valore della preghiera - del parlare con questo Dio - e dei riti, così come intuire la differenza fra il bene ed il male. Sappiate, allora, accompagnarli nella fede, in questa conoscenza di Dio, in questa amicizia con Dio, in questa conoscenza della differenza tra il bene e il male. Accompagnateli nella fede sin dalla più tenera età.
E come coltivare poi il germe della vita eterna a mano a mano che il bambino cresce? San Cipriano ci ricorda: "Nessuno può avere Dio per Padre, se non ha la Chiesa per Madre". Ed è perciò che non diciamo Padre mio, ma Padre nostro, perché solo nel "noi" della Chiesa, dei fratelli e sorelle, siamo figli. Da sempre la comunità cristiana ha accompagnato la formazione dei bambini e dei ragazzi, aiutandoli non solo a comprendere con l’intelligenza le verità della fede, ma anche a vivere esperienze di preghiera, di carità e di fraternità. La parola della fede rischia di rimanere muta, se non trova una comunità che la mette in pratica, rendendola viva ed attraente, come esperienza della realtà della vera vita. Ancora oggi gli oratori, i campi estivi, le piccole e grandi esperienze di servizio sono un prezioso aiuto per gli adolescenti che compiono il cammino dell’iniziazione cristiana, a maturare un coerente impegno di vita. Incoraggio, quindi, a percorrere questa strada che fa scoprire il Vangelo non come un’utopia, ma come la forma piena e reale dell’esistenza. Tutto ciò va proposto in particolare a coloro che si preparano a ricevere il sacramento della Cresima, affinché il dono dello Spirito Santo confermi la gioia di essere stati generati figli di Dio. Vi invito dunque a dedicarvi con passione alla riscoperta di questo Sacramento, perché chi è già battezzato possa ricevere in dono da Dio il sigillo della fede e diventi pienamente testimone di Cristo.
Perché tutto questo risulti efficace e porti frutto è necessario che la conoscenza di Gesù cresca e si prolunghi oltre la celebrazione dei Sacramenti. È questo il compito della catechesi, come ricordava il beato Giovanni Paolo II, che scrisse: "La specificità della catechesi, distinta dal primo annuncio del Vangelo, che ha suscitato la conversione, tende al duplice obiettivo di far maturare la fede iniziale e di educare il vero discepolo di Cristo mediante una conoscenza più approfondita e più sistematica della persona e del messaggio del nostro Signore Gesù Cristo" (Esort. ap. Catechesi tradendae, 19). La catechesi è azione ecclesiale e pertanto è necessario che i catechisti insegnino e testimonino la fede della Chiesa e non una loro interpretazione. Proprio per questo è stato realizzato il Catechismo della Chiesa Cattolica, che idealmente questa sera riconsegno a tutti voi, affinché la Chiesa di Roma possa impegnarsi con rinnovata gioia nell’educazione alla fede. La struttura del Catechismo deriva dall’esperienza del catecumenato della Chiesa dei primi secoli e riprende gli elementi fondamentali che fanno di una persona un cristiano: la fede, i Sacramenti, i comandamenti, il Padre nostro.
Per tutto questo è necessario educare anche al silenzio e all’interiorità. Confido che nelle parrocchie di Roma gli itinerari di iniziazione cristiana educhino alla preghiera, perché essa permei la vita ed aiuti a trovare la Verità che abita il nostro cuore. E la troviamo realmente nel dialogo personale con Dio. La fedeltà alla fede della Chiesa, poi, deve coniugarsi con una "creatività catechetica" che tenga conto del contesto, della cultura e dell’età dei destinatari. Il patrimonio di storia e arte che Roma custodisce è una via ulteriore per avvicinare le persone alla fede: molto ci parla della realtà della fede qui a Roma. Invito tutti a fare tesoro nella catechesi di questa "via della bellezza" che conduce a Colui che è, secondo S. Agostino, la Bellezza tanto antica e sempre nuova.
Cari fratelli e sorelle, desidero ringraziarvi per il vostro generoso e prezioso servizio in questa affascinante opera di evangelizzazione e di catechesi. Non abbiate paura di impegnarvi per il Vangelo! Nonostante le difficoltà che incontrate nel conciliare le esigenze familiari e del lavoro con quelle delle comunità in cui svolgete la vostra missione, confidate sempre nell’aiuto della Vergine Maria, Stella dell’Evangelizzazione. Anche il Beato Giovanni Paolo II, che fino all’ultimo si prodigò per annunciare il Vangelo nella nostra città ed amò con particolare affetto i giovani, intercede per noi presso il Padre. Mentre vi assicuro la mia costante preghiera, di cuore imparto a tutti la Benedizione Apostolica. Grazie per la vostra attenzione.

Festa dei santi Marciano e Nicandro.

Oggi la chiesa ricorda i santi Marciano e Nicandro, titolari della nostra parrocchia e nostri protettori.
A distanza di quattro anni la nostra comunità è ancora dispersa per le varie new town, MAP, fondo immobiliare. Sentiamo la fatica di questo esilio e forse ci stiamo un po' abituando e rassegnando ad un difficile ritorno. Eppure in fondo in fondo è grande il desiderio di rivedersi di nuovo tutti insieme. Il cantiere è partito. E' ancora nella sua prima fase propedeutica, ma con questa intervento si eviteranno ulteriori crolli.
Ritroviamoci almeno nella comune preghiera e, prendendo in prestito l'augurio dei nostri fratelli ebrei: Il prossimo anno a Gerusalemme.

sabato 8 giugno 2013

Novità?

Da indiscrezioni giornalistiche sembra che oggi dovrebbe uscire la nomina del nuovo arcivescovo di L'Aquila.
A chiunque esso sia: Benvenuto a bordo, che questo Getsemani non ti sia troppo duro.

lunedì 3 giugno 2013

Iniziato il cantiere di san Marciano.






Carissimi parrocchiani e amici, è iniziato il cantiere di san Marciano. Per ora si tratta della prima fase: messa in sicurezza e smontaggio di tutte le parti mobili (soffitto ligneo e cantoria). L'artista aquilana Lia Garofalo ha visitato la nostra chiesa ed è disposta a fare una mostra pittorica (sarebbe bello farla in occasione della prossima Perdonanza Celestiniana). Si cercano sponsor disponibili ad aiutarci nelle spese per questa iniziativa.

Cari fratelli e sorelle, nel Vangelo che abbiamo ascoltato, c’è un’espressione di Gesù che mi colpisce sempre: «Voi stessi date loro da mangiare» (Lc 9,13). Partendo da questa frase, mi lascio guidare da tre parole: sequela, comunione, condivisione.
1. Anzitutto: chi sono coloro a cui dare da mangiare? La risposta la troviamo all’inizio del brano evangelico: è la folla, la moltitudine. Gesù sta in mezzo alla gente, l’accoglie, le parla, la cura, le mostra la misericordia di Dio; in mezzo ad essa sceglie i Dodici Apostoli per stare con Lui e immergersi come Lui nelle situazioni concrete del mondo. E la gente lo segue, lo ascolta, perché Gesù parla e agisce in un modo nuovo, con l’autorità di chi è autentico e coerente, di chi parla e agisce con verità, di chi dona la speranza che viene da Dio, di chi è rivelazione del Volto di un Dio che è amore. E la gente, con gioia, benedice Dio. 
Questa sera noi siamo la folla del Vangelo, anche noi cerchiamo di seguire Gesù per ascoltarlo, per entrare in comunione con Lui nell’Eucaristia, per accompagnarlo e perché ci accompagni. Chiediamoci: come seguo io Gesù? Gesù parla in silenzio nel Mistero dell’Eucaristia e ogni volta ci ricorda che seguirlo vuol dire uscire da noi stessi e fare della nostra vita non un nostro possesso, ma un dono a Lui e agli altri.
2. Facciamo un passo avanti: da dove nasce l’invito che Gesù fa ai discepoli di sfamare essi stessi la moltitudine? Nasce da due elementi: anzitutto dalla folla che, seguendo Gesù, si trova all’aperto, lontano dai luoghi abitati, mentre si fa sera, e poi dalla preoccupazione dei discepoli che chiedono a Gesù di congedare la folla perché vada nei paesi vicini a trovare cibo e alloggio (cfr Lc 9,12). Di fronte alla necessità della folla, ecco la soluzione dei discepoli: ognuno pensi a se stesso; congedare la folla! Ognuno pensi a se stesso; congedare la folla! Quante volte noi cristiani abbiamo questa tentazione! Non ci facciamo carico delle necessità degli altri, congedandoli con un pietoso: “Che Dio ti aiuti”, o con un non tanto pietoso: “Felice sorte”, e se non ti vedo più… Ma la soluzione di Gesù va in un’altra direzione, una direzione che sorprende i discepoli: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma come è possibile che siamo noi a dare da mangiare ad una moltitudine? «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente» (Lc 9,13). Ma Gesù non si scoraggia: chiede ai discepoli di far sedere la gente in comunità di cinquanta persone, alza gli occhi al cielo, recita la benedizione, spezza i pani e li dà ai discepoli perché li distribuiscano (cfr Lc 9,16). E’ un momento di profonda comunione: la folla dissetata dalla parola del Signore, è ora nutrita dal suo pane di vita. E tutti ne furono saziati, annota l’Evangelista (cfr Lc 9,17).Questa sera, anche noi siamo attorno alla mensa del Signore, alla mensa del Sacrificio eucaristico, in cui Egli ci dona ancora una volta il suo Corpo, rende presente l’unico sacrificio della Croce. E’ nell’ascoltare la sua Parola, nel nutrirci del suo Corpo e del suo Sangue, che Egli ci fa passare dall’essere moltitudine all’essere comunità, dall’anonimato alla comunione. L’Eucaristia è il Sacramento della comunione, che ci fa uscire dall’individualismo per vivere insieme la sequela, la fede in Lui. Allora dovremmo chiederci tutti davanti al Signore: come vivo io l’Eucaristia? La vivo in modo anonimo o come momento di vera comunione con il Signore, ma anche con tutti i fratelli e le sorelle che condividono questa stessa mensa? Come sono le nostre celebrazioni eucaristiche?
3. Un ultimo elemento: da dove nasce la moltiplicazione dei pani? La risposta sta nell’invito di Gesù ai discepoli «Voi stessi date…», “dare”, condividere. Che cosa condividono i discepoli? Quel poco che hanno: cinque pani e due pesci. Ma sono proprio quei pani e quei pesci che nelle mani del Signore sfamano tutta la folla. E sono proprio i discepoli smarriti di fronte all’incapacità dei loro mezzi, alla povertà di quello che possono mettere a disposizione, a far accomodare la gente e a distribuire – fidandosi della parola di Gesù - i pani e pesci che sfamano la folla. E questo ci dice che nella Chiesa, ma anche nella società, una parola chiave di cui non dobbiamo avere paura è “solidarietà”, saper mettere, cioè, a disposizione di Dio quello che abbiamo, le nostre umili capacità, perché solo nella condivisione, nel dono, la nostra vita sarà feconda, porterà frutto. Solidarietà: una parola malvista dallo spirito mondano! 
Questa sera, ancora una volta, il Signore distribuisce per noi il pane che è il suo Corpo, Lui si fa dono. E anche noi sperimentiamo la “solidarietà di Dio” con l’uomo, una solidarietà che mai si esaurisce, una solidarietà che non finisce di stupirci: Dio si fa vicino a noi, nel sacrificio della Croce si abbassa entrando nel buio della morte per darci la sua vita, che vince il male, l’egoismo e la morte. Gesù anche questa sera si dona a noi nell’Eucaristia, condivide il nostro stesso cammino, anzi si fa cibo, il vero cibo che sostiene la nostra vita anche nei momenti in cui la strada si fa dura, gli ostacoli rallentano i nostri passi. E nell’Eucaristia il Signore ci fa percorrere la sua strada, quella del servizio, della condivisione, del dono, e quel poco che abbiamo, quel poco che siamo, se condiviso, diventa ricchezza, perché la potenza di Dio, che è quella dell’amore, scende nella nostra povertà per trasformarla. Chiediamoci allora questa sera, adorando il Cristo presente realmente nell’Eucaristia: mi lascio trasformare da Lui? Lascio che il Signore che si dona a me, mi guidi a uscire sempre di più dal mio piccolo recinto, a uscire e non aver paura di donare, di condividere, di amare Lui e gli altri?
Fratelli e sorelle: sequela, comunione, condivisione. Preghiamo perché la partecipazione all’Eucaristia ci provochi sempre: a seguire il Signore ogni giorno, ad essere strumenti di comunione, a condividere con Lui e con il nostro prossimo quello che siamo. Allora la nostra esistenza sarà veramente feconda. Amen.