SOS RICOSTRUZIONE.

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domenica 27 giugno 2010



+ Dal Vangelo secondo Luca

Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio.
Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio». Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio».

La strada è la grande protagonista della pagina di vangelo che leggiamo in questa domenica. Gesù cammina e, in questo suo camminare, incontra l'uomo, ogni uomo, qualsiasi sia la sua posizione.
C'è colui che non vuole Gesù tra i piedi, ma Lui non si sdegna, anzi rimprovera aspramente i due discepoli intenzionati a fare giustizia, a sanare, con il fuoco, l'oltraggio e lo smacco subito. Non ha bisogno della nostra difesa d'ufficio il Signore. Arrogante e presuntuoso colui che vuole difendere Dio, colui che fa ricorso alla violenza per lavare l'onta presunta perde di vista la giusta gerarchia delle cose. Il fuoco dal cielo che punisca l'uomo poco accogliente ferma per sempre quell'uomo a quell'attimo della sua vita. Il singolo atto, seppur negativo, inchioda per sempre quell'uomo nel suo errore. Non è questo ciò che vuole Gesù, lui è sempre per la penultima possibilità. Chissà che un giorno quel cuore incapace di accogliere non possa trasformarsi in casa e focolare?
Ma sulla strada c'è anche colui che, entusiasta, promette ciò che poi non sarà in grado di mantenere. Una sequela fatta una volta per tutte è pura utopia, è necessaria la rinnovata fedeltà in ogni istante della vita. Il Gesù di oggi non consola, non ci mette al riparo di un nido o di una tana, ma ci lascia nel dubbio del bivio, nella serie di incroci dei quali è costituita la nostra vita, sempre in cammino, sempre con la bussola in mano, con il cielo per tetto e la terra per letto.
Sulla strada c'è colui che ispira Gesù, c'è un volto che potrebbe servire al Regno, c'è una vita che può essere spesa in modo migliore... a patto di non perdere tempo dietro e dentro quei rapporti tra morti. E' la sequela che rende vivi, è solo il cammino dietro il Vivente che rende vivi i nostri rapporti.
Ed infine c'è colui che è prudente, che si dice disposto a seguire ma differisce la decisione a tempi migliori. Colui che ha a cuore l'economia dell'amore, che decide quando e come investire il cuore, che decide quanto cuore investire. L'aratro è già in opera, il solco non può essere interrotto, il Seminatore ha bisogno urgente di seminare, non c'è tempo per il resto.
Per ognuno Cristo ha una esortazione, un consiglio, un rimprovero, uno sguardo, un cammino, una meta...
O meglio per me Cristo ha una esortazione, un consiglio, un rimprovero, uno sguardo, un cammino, una meta. Cristo è attento a me e ai miei momenti perchè e in me che vive chi non vuole Gesù tra i piedi, in me vive l'entusiasta e il prudente, il vocato e il fuggitivo. Tutti questi uomini sono io, per me Lui cammina, a me Lui guarda, con me desidera colloquiare, per prendere il mio Io e condurlo verso la pienezza della vita.

venerdì 25 giugno 2010

Finalmente fuori.

So che la mia sarà una voce fuori dal coro ma... finalmente siamo fuori dai campionati del mondo. Abbiamo assistito in questi giorni ad un sovradosaggio di palle e palloni, promesse e balletti, fischi e fiaschi. Ora si torna alla vita, a quella di ogni giorno. Finita la ricreazione, tutti di nuovo sui banchi, chi prenderà di mira la signora maestra?
Stamattina un noto telegiornale nazionale, nell'edizione delle 8.00, ha dedicato ben 15 minuti a commentare il disastroso risultato calcistico. Nei giorni scorsi addirittura l'apertura dei vari tg, minzoliniani e non, era dedicata ai mondiali e poi, in secundis (cfr. Il marchese del Grillo)
- alla morte dei dodici giovani in Spagna,
- al referendum a Pomigliano,
- al consiglio comunale straordinario fatto dalla giunta aquilana nella piazza vicino palazzo Chigi,
- alla marea nera che ha devastato le coste americane,
nemmeno un accenno
- della protesta ortaggesca (scusate la licenza poetica ma è per dire il lancio di pomodori, melanzane e quant'altro) presso la sede Rai di viale Mazzini, ad opera della popolazione aquilana per protestare contro l'oscuramento della manifestazione antitasse, che ha visto scendere in strada un popolo intero, ormai ridotto allo stremo e, diciamolo pure, alla fame.
Accenni, flash,
- alla manovra finanziaria e alle proteste delle regioni.
- Toni da commedia alla presa di coscienza da parte di Fini del fatto che la padania è un'invenzione leghista (vorremmo però vedere il seguito di queste esternazioni, fatti e non parole caro Fini è un motto che dovresti conoscere bene) e alla conseguente
- minaccia di Bossi di far marciare i contadini della bergamasca con vanghe, zappe e trattori, contro Roma ladrona e contro l'unità d'Italia.
Si, finalmente, per l'Italia questo campionato è finito... non grideremo più "Forza Italia", e già questo non è poco, ma soprattutto, ogni giorno, potremo chiederci nuovamente: "Con che cosa tenteranno di rinc...uorarci anche oggi?"

domenica 13 giugno 2010

Il valore (ambiguo) dei segni.

C'è una cosa che nel post terremoto faccio ancora fatica a capire: il valore dei segni.
Ogni cosa, nelle nostre chiese, è segno d'altro, rimanda ad un senso ed un significato più profondo. Dalla porta all'altare, dal pavimento al soffitto, dall'acquasantiera al tabernacolo. Tutto è segno di qualcosa di più profondo. Beh il terremoto non ha avuto rispetto di nulla, tutto ha distrutto con la sua potenza. Tutto ciò che avevamo benedetto e consacrato è stato violato. Vengono in mente certe immagini dei salmi che descrivono la distruzione di Gerusalemme e del Tempio. Avevamo ricoperto i nostri segni di una sacralità, forse, eccessiva. Pur consapevoli che può forse contenere Colui che è creatore del cielo e della terra una casa fatta da mani d'uomo? Avevamo dato a queste case/chiese una importanza esagerata.
Tra i segni più densi di significato a L'Aquila abbiamo la Porta Santa, quella porta che, aperta con solennità, nei vespri della vigilia della festa della Decollazione di San Giovanni Battista, viene chiusa con i vespri della stessa festa. Una apertura annuale di 24 ore che vede passare penitenti e curiosi, laici e religiosi, aquilani e non, un popolo commosso e un popolo indifferente, colui che è spinto dal desiderio di perdono e colui che, pur nell'indifferenza religiosa di ogni giorno, sente di dover partecipare ad un rito collettivo. La foto che segue dice bene l'attesa che ogni anno abita il popolo aquilano per questa apertura, segno della straordinaria abbondanza di misericordia di Dio.



Eppure questa Porta nei giorni scorsi è stata violentata per permettere ad alcuni politici di uscire indisturbati dopo l'inaugurazione della ritrovata bellezza della facciata di Collemaggio. Non mi interessa qui sapere i motivi della presenza di Bertolaso, Letta, Chiodi ed affini, visto che comunque si trattava di lavori iniziati molto prima del terremoto e con i quali, sia il governo sia la protezione civile, non avevano nulla a che vedere. Ma, si sa, al fascino delle passerelle è difficile resistere, ogni occasione è buona per diffondere l'immagine di una città che ha risolto tutti i suoi problemi. Mi preoccupa invece come questa apertura straordinaria possa banalizzare, d'ora innanzi, ogni altra apertura. Mi preoccupa, stando alle notizie diffuse dalla stampa, il fatto che la decisione di aprire la Porta Santa come via di fuga sia stata presa dalle forze dell'ordine per evitare incidenti con un gruppo di persone (saranno stati 4/5) che, seppur ad alta voce, manifestavano il loro dissenso. Possibile che la scorta di questi grandi era preoccupata per la voce e i cartelloni di questi pochi elementi? Forse in questa grande banalità che ci circonda, e ci abita un po' tutti, ne ha fatto le spese anche la Porta Santa? Pensando questo ne sono addirittura consolato perché l'ignoranza scusa persino il peccato. Ma purtroppo mi vengono in mente le mani delle mie nonne (non ho avuto la fortuna di conoscere i nonni). Cosa c'entrano le mani delle mie nonne con la Porta Santa? Beh, avendo lavorato la terra ed accarezzato i figli, impastato il pane e la pasta e lavato chili e chili di bucato, avendo sgranato infiniti rosari sono sicuramente, se non più, almeno sante come la porta di Collemaggio. Ma non è per questo che penso alle loro mani, piuttosto le rivedo senza la loro fede di nozze. Strano per queste donne tutte casa e chiesa.


Quando chiesi ad una di loro il motivo di questa assenza mi fu detto che ad un certo punto il regime aveva preteso tutto il loro oro, comprese le fedi nuziali, per far cassa, serviva per cambiarle in armi (l'anti-Isaia per eccellenza) per difendere il paese. Anche qui il potere distrugge e banalizza i segni per esercitare il suo dominio. Pensare che la bolla, e quindi il perdono di san Celestino V, si erano salvati proprio grazie alla furbizia di questo santo eremita che pensa bene di non delegare tutto al potere allora più forte, quello del papato, e consegna copia della sua bolla anche alla municipalità, piccolo Davide di fronte al gigante Golia.

Ed ora non si è trovato nessun piccolo Davide? Se cessasse almeno la miopia della attuale municipalità si potrebbe scorgere un barlume in fondo al tunnel buio che tutti ci sovrasta.

mercoledì 9 giugno 2010

Terremoto all'Aquila: io c'ero. Intervista a don Bruno Tarantino

Terremoto all'Aquila: io c'ero. Intervista a don Bruno Tarantino

Dal dramma alla commedia e viceversa.

Ve lo ricordate quando, da bambini, si trascorrevano pomeriggi interi a giocare con i compagni di quartiere? Il gioco più classico, che univa tutta l'Italia, era sicuramente il Nascondino. Uno stava al muro a contare e tutti gli altri correvano a nascondersi in attesa di salvarsi o di essere sgamati. L'ultimo aveva il potere di salvare tutti oppure, se scoperto, doveva star sotto e contare lui, e così via per ore ed ore... sino a quando qualcuno cercava di fare il furbo. Allora capitava che o si contava in maniera frettolosa, o si saltavano alcune decine, o si contestava d'essere stati scoperti. A quel punto la lite era, inevitabilmente, dietro l'angolo. Si arrivava alle fazioni. "Se sei mio amico allora non devi giocare con loro", di rimando: "se stai con lui sei un imbroglione", "...e allora noi giochiamo per conto nostro", "non vogliamo più giocare con voi", "e io dico dove siete nascosti". Pomeriggio di giochi finito, tutti sconfitti, si rientrava a casa, tra musi lunghi ed imprecazioni contro la stupidità umana, e i genitori che ci davano pure addosso, quasi sempre facendo ricadere la colpa su di noi.
Credo che simile gioco si stia ripetendo in questi giorni a L'Aquila. Dal dramma alla commedia e viceversa. E' di pochi giorni fa il risultato di un sondaggio, promosso da un quotidiano on line locale, che dava Bertolaso al 96% delle preferenze tra gli aquilani come ipotetico punto di riferimento per la ricostruzione ed ora, qualcuno che non aveva più voglia di stare al gioco, ci viene a dire che gli stessi aquilani potrebbero armarsi contro la protezione civile ed i suoi uomini... per questo "...se siete veramente miei amici allora non dovete andare a giocare a L'Aquila". Ma siamo veramente sicuri che un popolo belligerante come quello aquilano ha intenzione di armarsi o siamo di nuovo di fronte al dramma di chi, avendo imbrogliato sulla conta, ora vorrebbe togliersi dal gioco facendo ricadere la colpa su chi semplicemente cerca un rifugio, non per nascondersi ma solo per poter vivere dignitosamente?
Come succedeva da bambini vedo il rientro di tutti a casa tra musi lunghi e speranze, ancora una volta, deluse. Vedo come, ancora una volta, la commedia all'improvviso si trasforma in tragedia, il gioco in dramma. Vedo all'orizzonte un popolo sempre più abbandonato a se stesso e, proprio come succedeva da piccoli, gli adulti che ti danno addosso, infatti già qualcuno ha scritto: "Ma non li avete votati voi nelle recenti elezioni provinciali, ed ora di cosa vi lamentate?"
Appunto, di cosa ci lamentiamo?
Domani tutto sarà dimenticato, si ricomincerà a giocare.
Castigat ridendo mores.