domenica 7 novembre 2010
Dio non è il dio dei morti ma dei viventi (pensieri crepuscolari 1)
A parziale scusante per questa mia lunga latitanza dal blog posso dire che, tra la fine di settembre ed il mese di ottobre, ho percorso circa 6000 km. Ogni chilometro è stato pieno di incontri, volti, sorrisi. L'incontro con la comunità parrocchiale di Torno (Co), con il suo parroco il mitico don Alberto. Un paese sulle rive del lago di Como, benedetto da Dio per la sua incantevole posizione ma soprattutto per il carico di umanità dei suoi abitanti. Un paese dove si festeggia la Madonna del melograno (o della melograna). Ma una comunità che custodisce una preziosa reliquia: uno dei chiodi della croce di Gesù. Don Alberto, nella sua sapienza pastorale, ha deciso di prendere sul serio questa presenza, questo dono della provvidenza, ed ogni anno propone alla comunità un cammino che procede con il passo di uno dei dolori del mondo. E' nata così l'idea della Croce dei dolori del mondo. Quest'anno il loro cammino, la loro preghiera e la loro concreta generosità si sono rivolti a L'Aquila, ed in particolare ai bisogni delle persone che vivono la mia vita, che incontro nel mio ministero. Il frutto della loro generosità mi permette di rispondere ai bisogni di chi bussa alla porta della chiesa, mi permette di rispondere ai bisogni di quella parte del popolo di Dio che vive il tempo della croce. Chi vive a L'Aquila sa come questa croce prende sembianze diverse, non sempre evidenti ma sempre tragiche. Ho potuto così piantare un chiodo su questa Croce dei dolori del mondo, un chiodo che ha il peso di tutte le ferite dei cuori terremotati. Un chiodo che ha dato un senso nuovo al nostro dolore ed un respiro più grande alla preghiera di quella comunità cristiana. Ecco allora che ha ragione Gesù quando ci ricorda che il nostro Dio è il Dio dei viventi e non dei morti. Noi che spesso abbiamo ridotto Dio ad una succursale delle pompe funebri, a colui che prolunga nel tempo i nostri lutti, siamo chiamati ad accorgerci che è la vita, la gioia, la condivisione, la danza, la risurrezione, l'esito ultimo della nostra fede, l'unico contenuto che ha il valore dell'eternità. Mi sono sentito piccolo di fronte a quella croce ed anche di fronte a quel gesto. Chi ero io per lasciare un segno eterno su questa Croce dei dolori del mondo? Il mio in fondo è un piccolo dolore. Ma in quel momento le mie mani avevano la forza dei miei giovani parrocchiani della casa dello studente, dei familiari dell'amico Cora, della signora Spagnoli che ha perduto figlio e nipote, di Luigina, della farmacista mia vicina di casa, di quel giovane all'angolo di via san Marciano e via del Seminario, di tutte le 308 vittime del sisma e di tutte quelle migliaia di vittime in vita che porteranno, indelebili, le ferite del lutto e a volte anche della disperazione. Nei miei occhi passavano veloci i volti di quella notte e di tutte le notti. Tutto questo lì conficcato su quella croce, un unico dolore, quello dell'uomo e quello di Dio. Un unico mistero al quale nemmeno Gesù ha preteso di dare risposta, ma lo ha semplicemente vissuto permettendo a ciascuno di non essere solo con il suo dolore. Grazie amici di Torno per avermi ricordato che solo in questa grande comunione, esito della croce di Cristo, è possibile una autentica liberazione dalla nostra solitudine e dal quel dolore che taglia la vita alla sua radice.
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