È una strana preghiera, Signore Gesù, quella che nasce spontanea dal mio cuore in questa notte di pasqua. Non ha origini nel mondo della bibbia e nemmeno in quello delle devozioni e riti della settimana santa. Forse è una preghiera post-moderna, empia. Ma così è nata e così la porgo a te. Ti prego, Signore Gesù, avendo negli occhi e nel cuore il computer. Forse perché è diventato il mio strumento di lavoro principale, o forse perché ormai abita tutta la nostra vita, ma proprio il computer mi ha ispirato questa preghiera "informatica".
Fammi vedere, Signore Gesù, che, grazie alla tua pasqua, tu sei l’unico sfondo possibile al mio desktop, e che da quello sfondo e in quello sfondo si aprono tutte le mie finestre, icone della tua irruzione d’amore nella mia storia ma anche icone del mio grido alla Tua presenza. Accogli e visualizza in quello sfondo la finestra dei miei sentimenti e delle mie passioni, la finestra dei miei pensieri segreti e quella delle mie vane chiacchiere, la finestra del mio passato e quella del mio futuro, passando per il diario del mio presente. La finestra dove memorizzo la mia vita economica e quella sociale, il mio studio e la mia pigrizia, la mia famiglia e i miei rapporti, la mia parrocchia e le mie solitudini, il mio ambito laico e quello religioso, i miei vizi nascosti e le mie apparenti virtù. Tutta la mia vita, tutte le mie finestre in te, nel grande schermo capace di dare senso ed unità ai tanti frammenti.
Lo so che non c’è finestra della mia vita che non abbia in te la sua origine e in te il suo orizzonte, ma a volte la mia indifferenza ed una falsa religiosità mi portano a creare file invisibili, nascosti nei meandri della rete della vita. Eppure “se salgo in cielo là tu sei, se scendo negli inferi eccoti”. Fammi capire, Signore, che non sono il Codice da Vinci né il codice genesi e rivelarmi chi tu sei e chi sono io, ma è solo il codice binario dove tu sei l’UNO ed io lo ZERO. Dove L’UNO senza lo zero è solo una distanza infinita, una perfetta solitudine, e dove lo ZERO senza l’uno è solo un vuoto incolmabile, una serie ininterrotta di occasioni mancate e perse per sempre. Ma insieme L’UNO e lo ZERO, legati in una comunione inscindibile, creeremo un linguaggio veloce e per tutti.
Rendimi attento, Signore, anche al suono dell’allarme antivirus, segnale che il male, subdolo ed invisibile, si può insinuare nella grande rete della vita. E quando nella navigazione incapperò nel gatto e la volpe della fede aiutami a cliccare di nuovo su di Te. Ad aprire una feritoia attraverso la quale Tu puoi rimettere ordine al tutto.
Ed infine fa che tutto questo non accada solo per me.
Amen
domenica 24 aprile 2011
sabato 23 aprile 2011
venerdì 8 aprile 2011
domenica 3 aprile 2011
2 anni o forse 2 minuti.
Ho paura che il mio pensiero per il 6 aprile possa suonare blasfemo o ironico, eppure non riesco a trattenermi dal dire a me stesso e agli amici di L’Aquila: buon compleanno. No, non sono impazzito, credo che tutti noi, i sopravvissuti, siamo nati in quella tragica notte, a tutti noi è stata donata una nuova vita. Una vita che è costata il sangue e la morte di nostra madre, di questa nostra magnifica città, distrutta nelle sue 308 vittime e sfigurata nei suoi tanti monumenti e case. Un compleanno, il nostro, carico di dolore e di speranza, fatto di morte e di vita. Come tutti gli anniversari importanti anche questo non dovrà essere consumato nell’orgia dei tanti contatti, ma forse mettendo le quattro frecce alla macchina della vita, che corre veloce, per prenderci un attimo di pausa. Si, gli anniversari sono il tempo della calma riflessione, sono la piazzola di sosta che permette di guardare alla cartina e capire se la direzione seguita è quella giusta. Non so voi come vivrete questo secondo anniversario del terremoto, so però come lo vivrò io. Metterò, appunto le quattro frecce e me ne starò in casa. Non andrò a fiaccolate notturne o diurne, non manifesterò contro qualcuno o a suo favore, non andrò a sentire i rintocchi delle campane ne mi armerò di carriole, non andrò ad accogliere alcuna autorità, ne contesterò quelle che comunque verranno, diserterò le commemorazioni e le messe solenni. Si, me ne starò tranquillo a casa a godermi un tetto ritrovato dopo tanto pellegrinare tra tende e camere d’albergo. Mi guarderò in giro lasciandomi accarezzare dalla presenza del poco che ho salvato dalle macerie e che sono quella sottile linea che mi lega ad un passato sempre più remoto e che, al contempo ,mi aiuta a ricordare la grande fortuna di non essere sfociato nel trapassato. Forse qualche lacrima righerà il mio volto al ricordo di ciò che è irrimediabilmente perso. Mi verranno in mente foto ormai lacere tra le pietre e lettere perse per sempre, ma questo mi aiuterà ad amare di più le persone che c’erano in quelle foto e i sentimenti espressi in quelle lettere. Ripenserò alle tazzine da caffè di Van Gogh, regalo dei miei parrocchiani per l’ultimo compleanno pre-terremoto, e allora via, in macchina, da loro per dire a me stesso che un caffè in compagnia è ancora possibile, alla faccia del terremoto che pensava di rubarci i momenti di felicità. Percorrerò in lungo e in largo i luoghi dell’esilio forzato e mi verranno in mente i tanti sorrisi e gesti di accoglienza che hanno trasfigurato l’esilio facendo di esso il luogo della salvezza. Chiuderò gli occhi e tornerò a passeggiare per via san Marciano, piazzetta del Cardinale, via santa Chiara d’Aquili e le altre strade della parrocchia e il ricordo della vita che pulsava sarà speranza di rinascita e, quando tra le macerie scorgerò un piccolo fiore spontaneo chiederò al Signore della vita di avere un occhio di riguardo per coloro che in quella notte lo hanno raggiunto tremanti ed impolverati. Tutto questo farò dal profondo silenzio della casa in cui vivo e nessuno se ne accorgerà. Ed infine prenderò in mano il cellulare e a tutti i nomi presenti in rubrica manderò un brevissimo sms, scrivendo semplicemente: ti voglio bene.
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