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domenica 3 aprile 2011

2 anni o forse 2 minuti.

Ho paura che il mio pensiero per il 6 aprile possa suonare blasfemo o ironico, eppure non riesco a trattenermi dal dire a me stesso e agli amici di L’Aquila: buon compleanno. No, non sono impazzito, credo che tutti noi, i sopravvissuti, siamo nati in quella tragica notte, a tutti noi è stata donata una nuova vita. Una vita che è costata il sangue e la morte di nostra madre, di questa nostra magnifica città, distrutta nelle sue 308 vittime e sfigurata nei suoi tanti monumenti e case. Un compleanno, il nostro, carico di dolore e di speranza, fatto di morte e di vita. Come tutti gli anniversari importanti anche questo non dovrà essere consumato nell’orgia dei tanti contatti, ma forse mettendo le quattro frecce alla macchina della vita, che corre veloce, per prenderci un attimo di pausa. Si, gli anniversari sono il tempo della calma riflessione, sono la piazzola di sosta che permette di guardare alla cartina e capire se la direzione seguita è quella giusta. Non so voi come vivrete questo secondo anniversario del terremoto, so però come lo vivrò io. Metterò, appunto le quattro frecce e me ne starò in casa. Non andrò a fiaccolate notturne o diurne, non manifesterò contro qualcuno o a suo favore, non andrò a sentire i rintocchi delle campane ne mi armerò di carriole, non andrò ad accogliere alcuna autorità, ne contesterò quelle che comunque verranno, diserterò le commemorazioni e le messe solenni. Si, me ne starò tranquillo a casa a godermi un tetto ritrovato dopo tanto pellegrinare tra tende e camere d’albergo. Mi guarderò in giro lasciandomi accarezzare dalla presenza del poco che ho salvato dalle macerie e che sono quella sottile linea che mi lega ad un passato sempre più remoto e che, al contempo ,mi aiuta a ricordare la grande fortuna di non essere sfociato nel trapassato. Forse qualche lacrima righerà il mio volto al ricordo di ciò che è irrimediabilmente perso. Mi verranno in mente foto ormai lacere tra le pietre e lettere perse per sempre, ma questo mi aiuterà ad amare di più le persone che c’erano in quelle foto e i sentimenti espressi in quelle lettere. Ripenserò alle tazzine da caffè di Van Gogh, regalo dei miei parrocchiani per l’ultimo compleanno pre-terremoto, e allora via, in macchina, da loro per dire a me stesso che un caffè in compagnia è ancora possibile, alla faccia del terremoto che pensava di rubarci i momenti di felicità. Percorrerò in lungo e in largo i luoghi dell’esilio forzato e mi verranno in mente i tanti sorrisi e gesti di accoglienza che hanno trasfigurato l’esilio facendo di esso il luogo della salvezza. Chiuderò gli occhi e tornerò a passeggiare per via san Marciano, piazzetta del Cardinale, via santa Chiara d’Aquili e le altre strade della parrocchia e il ricordo della vita che pulsava sarà speranza di rinascita e, quando tra le macerie scorgerò un piccolo fiore spontaneo chiederò al Signore della vita di avere un occhio di riguardo per coloro che in quella notte lo hanno raggiunto tremanti ed impolverati. Tutto questo farò dal profondo silenzio della casa in cui vivo e nessuno se ne accorgerà. Ed infine prenderò in mano il cellulare e a tutti i nomi presenti in rubrica manderò un brevissimo sms, scrivendo semplicemente: ti voglio bene.

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