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mercoledì 13 giugno 2012

Corpus Domini


+ Dal Vangelo secondo Marco 14,12-16.22-26

Il primo giorno degli Àzzimi, quando si immolava la Pasqua, i discepoli dissero a Gesù: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?».
Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi».
I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.
Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio».
Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.

È la domenica del Corpus Domini e noi siamo di nuovo condotti nel punto sorgivo della chiesa: il cenacolo. Notiamo subito la preoccupazione da parte dei discepoli: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?», questo ci dice che la celebrazione non si improvvisa. Occorre una preparazione, un cammino, un rapporto nuovo. È necessario che la propria libertà decida di giocarsi in un incontro che permetta d’avere un luogo dove poter celebrare la Pasqua. Non siamo chiamati a celebrare fuori dal mondo, lontani dalle case, al riparo dagli uomini, quasi in una sorta di isola felice fatta solo per noi. No, l’indicazione di Gesù è chiara: andate in città. La città è il luogo dell’eucaristia, la città con la sua indifferenza, con il suo traffico, con i suoi ritmi, ma anche con il suo carico di umanità che chiede un cibo che non perisce, con i suoi problemi che chiedono una possibile soluzione. Contro ogni tentazione di chiusura in luoghi puri e santi, in basiliche e sacrestie, Gesù ci invita ad andare nel luogo degli uomini, la città, e la chiedere una disponibilità, una accoglienza. Un uomo con una brocca d’acqua, una scena feriale che permette la festa. Quell’uomo sono io, ognuno di noi, che porta la sua acqua, qualcosa di insapore, incolore eppure indispensabile. Indispensabile a me per vivere ma indispensabile anche a Gesù che dalla croce grida la sua sete. Eccoci al cuore del mistero eucaristico: la mia sete di Lui e la sua sete di me. Cristo mendicante del cuore dell’uomo e il cuore dell’uomo mendicante di Cristo. Tutto questo non si improvvisa. È troppo importante la realtà che si celebra per essere pressappochisti. Nulla è così volgare come un gesto che incarna la Bellezza fatto male, di fretta, non preparato, non pensato nei minimi particolari. Infatti Gesù invita a non fermarsi alla prima stanza ma di andare al piano superiore, una stanza arredata, già pronta. Il piano superiore da dove più facilmente si può guardare al mondo intero, un altare da dove spingere lo sguardo sino ai confini della terra e con lo sguardo anche la Grazia e la Misericordia che vengono dall’Eucaristia. Il piano superiore, nuovo faro che illumina le nostre notturne navigazioni per i marosi della vita. E con don Tonino Bello invochiamo Maria, donna delle altezze, affinché: “Doni l'ebbrezza delle alture, la misura dei tempi lunghi, la logica dei giudizi complessivi. Prestale la tua lungimiranza. Non le permettere di soffocare nei cortili della cronaca. Preservala dalla tristezza di impantanarsi, senza vie d'uscita, negli angusti perimetri del quotidiano. Falle guardare la storia dalle postazioni prospettiche del Regno. Perché, solo se saprà mettere l'occhio nelle feritoie più alte della torre, da dove i panorami si allargano, potrà divenire complice dello Spirito e rinnovare, così, la faccia della terra.”

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