Caro Gesù, come ben sai, ogni anno a natale e a pasqua, preferisco non parlare di Te ma parlare con Te. L'ho sempre fatto con una preghiera. Quest'anno lo faccio invece con una lettera. Ti scrivo come si scrive ad un amico d'altri tempi, con penna e foglietto, e Ti racconto quello che mi è successo stanotte. Come ben sai dormo poco e nella mia insonnia mi sono ricordato che non avevo messo in internet gli avvisi sugli orari delle celebrazioni di questi giorni di festa. Ai tuoi tempi gli avvisi sacri li davano gli angeli o le comete, ora le cose sono un po' cambiate. Ho acceso il computer e su Google ho scritto la parola "NATALE" per cercare immagini da allegare nella pagina facebook della parrocchia. Migliaia di immagini: vecchi grassi con la barba bianca, tovaglie rosse, palle dorate, bibite gasate, cartoni animati, neve, candele accese, vischio... c'era di tutto ma MANCAVI TU. Chiudo deluso e pensieroso e decido di guardare gli sms e gli mms che iniziano a riempire la segreteria del cellulare. Anche li la saga dell'ovvio, auguri impersonali, quasi sempre "i migliori auguri" o "i più sentiti" di sereno natale, di sante feste, di tanta gioia e felicità, di speranza, di salute, auguri di tutto ma MANCAVI TU. Poi sono cominciate le telefonate, ti dirò, caro Gesù, molte di rimprovero. La messa alle 23,15? Come mai così tardi? Siamo nella tenda, fa freddo, uscire a quell'ora che noia, bisogna interrompere la tombolata o la scala quaranta. E come dire agli ospiti del cenone che devono andarsene prima del panettone di mezzanotte? La messa alle 23,15? Troppo presto! A quell'ora stiamo ancora al terzo secondo, mica possiamo ingozzarci per la fretta? E poi si è sempre fatta a mezzanotte. Non si capisce più nulla. E voi preti cambiate tutto e ci fate perdere la fede. Verranno solo quattro gatti. La fede, caro Gesù, adesso è legata non più alla tua nascita, alla tua morte, alla tua resurrezione ma all'orario della messa della notte di Natale. Un messaggio permettimi te lo devo proprio riferire, l'ho letto sulla pagina facebook di un ragazzo, spero Tu, Gesù, capisca il dialetto aquilano, c'era scritto: "MASSERA SE MAGNA". Caro Gesù la tua nascita è diventata una sagra.
Ti ho parlato di internet, di google, di sms, di mms, da facebook, di cellulare, tutte cose che ai tuoi tempi non esistevano, ma Tu, da buon Dio, sarai sicuramente aggiornato, sai di cosa parlo.
Ti scrivo questa lettera e mi fermo a guardare i tuoi occhi, e percepisco all'improvviso come un delicato rimprovero, sento che mi dici: "hai finito di lamentarti di tutto e di tutti?
E' vero, mi sono solo lamentato, ho puntato il mio indice verso gli altri mentre Tu punti i tuoi occhi verso di me e mi chiedi: "Ma tu mi ami almeno un po'? Lascia perdere gli altri, io a te chiedo amore!" Tu, Gesù, l'Onnipotente che ti sei fatto bisogno. Ed io, nonostante tutto, ti rispondo: "Tu sei la mia vita, senza di Te nulla ha senso".
giovedì 26 dicembre 2013
martedì 27 agosto 2013
Visita la mostra.
CARISSIMI CONTINUA LA MOSTRA "SUGGESTIONI DI RESURREZIONE DI UNA CITTA' TESTARDA" PRESSO I LOCALI DELLA PARROCCHIA SANTA RITA IN VIA STRINELLA A L'AQUILA.
VI ASPETTIAMO TUTTI I GIORNI DALLE 10,00 ALLE 12,00 E DALLE 17,00 ALLE 21,00.
lunedì 12 agosto 2013
Importante.
CARISSIMI AMICI, GRAZIE ALL'ARTE E ALLA DISPONIBILITA' DELL'ARTISTA AQUILANA LIA GAROFALO E AL CONTRIBUTO LETTERARIO DI ALCUNI AMICI, HO ORGANIZZATO UNA MOSTRA PITTORICO-LETTERARIA DAL TITOLO: "SUGGESTIONI DI RESURREZIONE DI UNA CITTA' TESTARDA". LA MOSTRA SARA' APERTA DA SABATO 24 AGOSTO A SABATO 31 AGOSTO PRESSO I LOCALI DELLA PARROCCHIA DI SANTA RITA IN VIA STRINELLA A L'AQUILA, CON IL SEGUENTE ORARIO: 9,30-12,00/17,00-21,00. GRUPPI PARROCCHIALI O GIA' COSTITUITI, CHE INTENDONO AVVALERSI DI UNA VISITA GUIDATA MI POSSONO CONTATTARE IN PRIVATO.
VI ASPETTO IN TANTI.
SARA' UNA SORPRESA SOPRATTUTTO PER TUTTI GLI AMICI DELLA PARROCCHIA DI SAN MARCIANO E PER GLI INSEGNANTI DI RELIGIONE, STORIA DELL'ARTE E LETTERATURA.
mercoledì 24 luglio 2013
Dicono che la vita sia un'opera d'arte...ma l'opera d'arte non è solo il frutto della genialità, dell'estro, dell'unicità e a volte della stravaganza...ma essa ci dice anche tormento, parto, sospensione, ripresa e soprattutto difetto, perchè anche nell'opera d'arte più alta ci sarà sempre un "limite"...
martedì 9 luglio 2013
martedì 25 giugno 2013
San Giovanni Battista
La notte di san Giovanni |
24 giugno
Ora, dove i colli di Linguadoca azzurreggiano di vigne
e nuotano verso i cigli delle basse giogaie, brune come valve, mille villaggi cominciano a dar nomi alla tua notte con fuochi.
Le fiamme che si destano aperte come la fede,
schiudendo occhi selvaggi e innocenti, da colle a colle, nel vespro di mezza estate, ardono ai crocicchi senza età questi loro fuochi pagani e convertiti.
E i bruni covoni del raccolto della dolce estate s'alzano
nei campi profondi dove da duemila anni, san Giovanni, i tuoi fuochi son giovani fra noi; e gridano, là, forte, come la tua testimonianza dal deserto
presso i boschi di grigi ulivi,
presso i crocicchi delle vigne dove una volta i covoni piansero sangue per avvertire le falci dei manichei. E nei nostri cuori, qui, in un'altra nazione, ha luogo la tua profonda notte di mezza estate. E notte di fuochi, in cui tutti i pensieri, ogni rovina del rumoroso mondo nuotano via dalla conoscenza come foglie, o fumo sulle pozze del vento.
Oh, ascoltate quel buio, ascoltate quel buio fondo,
ascoltate quei mari di buio sulle cui rive stiamo e moriamo. Possiamo ora averti, pace, possiamo ora dormire nella Tua volontà, dolce Dio di pace? Possiamo ora avere il Tuo Verbo e in Lui riposare?
Profeta ed eremita, grande Giovanni Battista,
tu che ci hai guidato fin sulla soglia del tuo deserto, tu che hai vinto per noi il primo lieve sapore che si prova lasciando il mondo: quando potremo mangiare le cose che abbiamo appena assaggiato? Quando avremo il santo favo di miele della tua vasta solitudine?
Tu tieni nelle tue mani, ah, più del Battesimo:
i frutti e le tre virtù e i sette doni. Aspettiamo la tua intercessione: o dobbiamo morire senza la grazia sull'orlo di quelle impossibili rive?
Fa' divampare, fa' divampare in questo deserto
le tracce di quei fuochi meravigliosi; purificaci e guidaci nella nuova notte, con la potenza di Elia e trova per noi la sommità dell'amore e della preghiera che la Sapienza esige da noi, o amico della Sposa!
E portaci alle tende segrete, i sacri,
inimmaginabili tabernacoli che ardono sui colli del nostro desiderio! |
lunedì 17 giugno 2013
Questa sera il papa. Che ne pensate?
Cari fratelli e sorelle!
Con animo grato al Signore ci ritroviamo in questa Basilica di San Giovanni in Laterano per l’apertura dell’annuale Convegno diocesano. Rendiamo grazie a Dio che ci consente questa sera di fare nostra l’esperienza della prima comunità cristiana, la quale "aveva un cuore solo e un’anima sola" (At 4,32). Ringrazio il Cardinale Vicario per le parole che tanto cortesemente e cordialmente mi ha rivolto a nome di tutti e porgo a ciascuno il mio saluto più cordiale, assicurando la mia preghiera per voi e per coloro che non possono essere qui a condividere questa importante tappa della vita della nostra Diocesi, in particolare per coloro che vivono momenti di sofferenza fisica o spirituale.
Ho appreso con piacere che in questo anno pastorale avete cominciato a dare attuazione alle indicazioni emerse nel Convegno dell’anno passato, e confido che anche in futuro ogni comunità, soprattutto parrocchiale, continui ad impegnarsi a curare sempre meglio, con l’aiuto offerto dalla Diocesi, la celebrazione dell’Eucaristia, particolarmente quella domenicale, preparando adeguatamente gli operatori pastorali e adoperandosi affinché il Mistero dell’altare sia vissuto sempre più quale sorgente da cui attingere la forza per una più incisiva testimonianza della carità, che rinnovi il tessuto sociale della nostra città.
Il tema di questa nuova tappa della verifica pastorale, "La gioia di generare alla fede nella Chiesa di Roma – L’Iniziazione Cristiana", si collega con il cammino già compiuto. Infatti, ormai da parecchi anni la nostra Diocesi è impegnata a riflettere sulla trasmissione della fede. Mi torna alla memoria che, proprio in questa Basilica, in un intervento durante il Sinodo Romano, citai alcune parole che mi aveva scritto in una piccola lettera Hans Urs von Balthasar: "La fede non deve essere presupposta ma proposta". E’ proprio così. La fede non si conserva di per se stessa nel mondo, non si trasmette automaticamente nel cuore dell’uomo, ma deve essere sempre annunciata. E l’annuncio della fede, a sua volta, per essere efficace deve partire da un cuore che crede, che spera, che ama, un cuore che adora Cristo e crede nella forza dello Spirito Santo! Così avvenne fin dal principio, come ci ricorda l’episodio biblico scelto per illuminare la verifica pastorale. Esso è tratto dal 2° capitolo degli Atti degli Apostoli, nel quale san Luca, subito dopo aver narrato l’evento della discesa dello Spirito Santo a Pentecoste, riporta il primo discorso che san Pietro rivolse a tutti. La professione di fede posta alla conclusione del discorso – "Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso" (At 2,36) – è il lieto annuncio che la Chiesa da secoli non cessa di ripetere ad ogni uomo.
A quell’annuncio - leggiamo negli Atti degli Apostoli - tutti «si sentirono trafiggere il cuore» (2,37). Questa reazione fu generata certamente dalla grazia di Dio: tutti compresero che quella proclamazione realizzava le promesse e faceva desiderare a ciascuno la conversione e il perdono dei propri peccati. Le parole di Pietro non si limitavano ad un semplice annuncio di fatti, ne mostravano il significato, ricollegando la vicenda di Gesù alle promesse di Dio, alle attese di Israele e, quindi, a quelle di ogni uomo. La gente di Gerusalemme comprese che la risurrezione di Gesù era in grado ed è in grado di illuminare l’esistenza umana. E in effetti da questo evento è nata una nuova comprensione della dignità dell’uomo e del suo destino eterno, della relazione fra uomo e donna, del significato ultimo del dolore, dell’impegno nella costruzione della società. La risposta della fede nasce quando l’uomo scopre, per grazia di Dio, che credere significa trovare la vita vera, la "vita piena". Uno dei grandi Padri della Chiesa, Sant’Ilario di Poitiers, ha scritto di essere diventato credente nel momento in cui ha compreso, ascoltando il Vangelo, che per una vita veramente felice erano insufficienti sia il possesso, sia il tranquillo godimento delle cose e che c’era qualcosa di più importante e prezioso: la conoscenza della verità e la pienezza dell’amore donati da Cristo (cfr De Trinitate 1,2).
Cari amici, la Chiesa, ciascuno di noi, deve portare nel mondo questa lieta notizia che Gesù è il Signore, Colui nel quale la vicinanza e l’amore di Dio per ogni singolo uomo e donna, e per l’umanità intera si sono fatti carne. Questo annuncio deve risuonare nuovamente nelle regioni di antica tradizione cristiana. Il beato Giovanni Paolo II ha parlato della necessità di una nuova evangelizzazione rivolta a quanti, pur avendo già sentito parlare della fede, non apprezzano, non conoscono più la bellezza del Cristianesimo, anzi, talvolta lo ritengono addirittura un ostacolo per raggiungere la felicità. Perciò oggi desidero ripetere quanto dissi ai giovani nella Giornata Mondiale della Gioventù a Colonia: "La felicità che cercate, la felicità che avete diritto di gustare ha un nome, un volto: quello di Gesù di Nazareth, nascosto nell’Eucaristia"!
Se gli uomini dimenticano Dio è anche perché spesso si riduce la persona di Gesù a un uomo sapiente e ne viene affievolita se non negata la divinità. Questo modo di pensare impedisce di cogliere la novità radicale del Cristianesimo, perché se Gesù non è il Figlio unico del Padre, allora nemmeno Dio è venuto a visitare la storia dell’uomo, abbiamo solo idee umane di Dio. L’incarnazione, invece, appartiene al cuore del Vangelo! Cresca, dunque, l’impegno per una rinnovata stagione di evangelizzazione, che è compito non solo di alcuni, ma di tutti i membri della Chiesa. L'evangelizzazione ci fa sapere che Dio è vicino: Dio ci è mostrato. In quest’ora della storia, non è forse questa la missione che il Signore ci affida: annunciare la permanente novità del Vangelo, come Pietro e Paolo quando giunsero nella nostra città? Non dobbiamo anche noi oggi mostrare la bellezza e la ragionevolezza della fede, portare la luce di Dio all’uomo del nostro tempo, con coraggio, con convinzione, con gioia? Molte sono le persone che ancora non hanno incontrato il Signore: ad esse va rivolta una speciale cura pastorale. Accanto ai bambini e ai ragazzi di famiglie cristiane che chiedono di percorrere gli itinerari dell’iniziazione cristiana, ci sono adulti che non hanno ricevuto il Battesimo, o che si sono allontananti dalla fede e dalla Chiesa. E’ un’attenzione pastorale oggi più che mai urgente, che chiede di impegnarci con fiducia, sostenuti dalla certezza che la grazia di Dio sempre opera, anche oggi, nel cuore dell’uomo. Io stesso ho la gioia di battezzare ogni anno, durante la Veglia pasquale, alcuni giovani e adulti, e incorporarli nel Corpo di Cristo, nella comunione col Signore e così nella comunione con l'amore di Dio.
Ma chi è il messaggero di questo lieto annuncio? Sicuramente lo è ogni battezzato. Soprattutto lo sono i genitori, ai quali spetta il compito di chiedere il Battesimo per i propri figli. Quanto grande è questo dono che la liturgia chiama "porta della nostra salvezza, inizio della vita in Cristo, fonte dell’umanità nuova" (Prefazio del Battesimo)! Tutti i papà e le mamme sono chiamati a cooperare con Dio nella trasmissione del dono inestimabile della vita, ma anche a far conoscere Colui che è la Vita e la vita non è realmente trasmessa se non si conosce anche il fondamento e la fonte perenne della vita. Cari genitori, la Chiesa, come madre premurosa, intende sostenervi in questo vostro fondamentale compito. Fin da piccoli, i bambini hanno bisogno di Dio, perché l'uomo dall'inizio ha bisogno di Dio, ed hanno la capacità di percepire la sua grandezza; sanno apprezzare il valore della preghiera - del parlare con questo Dio - e dei riti, così come intuire la differenza fra il bene ed il male. Sappiate, allora, accompagnarli nella fede, in questa conoscenza di Dio, in questa amicizia con Dio, in questa conoscenza della differenza tra il bene e il male. Accompagnateli nella fede sin dalla più tenera età.
E come coltivare poi il germe della vita eterna a mano a mano che il bambino cresce? San Cipriano ci ricorda: "Nessuno può avere Dio per Padre, se non ha la Chiesa per Madre". Ed è perciò che non diciamo Padre mio, ma Padre nostro, perché solo nel "noi" della Chiesa, dei fratelli e sorelle, siamo figli. Da sempre la comunità cristiana ha accompagnato la formazione dei bambini e dei ragazzi, aiutandoli non solo a comprendere con l’intelligenza le verità della fede, ma anche a vivere esperienze di preghiera, di carità e di fraternità. La parola della fede rischia di rimanere muta, se non trova una comunità che la mette in pratica, rendendola viva ed attraente, come esperienza della realtà della vera vita. Ancora oggi gli oratori, i campi estivi, le piccole e grandi esperienze di servizio sono un prezioso aiuto per gli adolescenti che compiono il cammino dell’iniziazione cristiana, a maturare un coerente impegno di vita. Incoraggio, quindi, a percorrere questa strada che fa scoprire il Vangelo non come un’utopia, ma come la forma piena e reale dell’esistenza. Tutto ciò va proposto in particolare a coloro che si preparano a ricevere il sacramento della Cresima, affinché il dono dello Spirito Santo confermi la gioia di essere stati generati figli di Dio. Vi invito dunque a dedicarvi con passione alla riscoperta di questo Sacramento, perché chi è già battezzato possa ricevere in dono da Dio il sigillo della fede e diventi pienamente testimone di Cristo.
Perché tutto questo risulti efficace e porti frutto è necessario che la conoscenza di Gesù cresca e si prolunghi oltre la celebrazione dei Sacramenti. È questo il compito della catechesi, come ricordava il beato Giovanni Paolo II, che scrisse: "La specificità della catechesi, distinta dal primo annuncio del Vangelo, che ha suscitato la conversione, tende al duplice obiettivo di far maturare la fede iniziale e di educare il vero discepolo di Cristo mediante una conoscenza più approfondita e più sistematica della persona e del messaggio del nostro Signore Gesù Cristo" (Esort. ap. Catechesi tradendae, 19). La catechesi è azione ecclesiale e pertanto è necessario che i catechisti insegnino e testimonino la fede della Chiesa e non una loro interpretazione. Proprio per questo è stato realizzato il Catechismo della Chiesa Cattolica, che idealmente questa sera riconsegno a tutti voi, affinché la Chiesa di Roma possa impegnarsi con rinnovata gioia nell’educazione alla fede. La struttura del Catechismo deriva dall’esperienza del catecumenato della Chiesa dei primi secoli e riprende gli elementi fondamentali che fanno di una persona un cristiano: la fede, i Sacramenti, i comandamenti, il Padre nostro.
Per tutto questo è necessario educare anche al silenzio e all’interiorità. Confido che nelle parrocchie di Roma gli itinerari di iniziazione cristiana educhino alla preghiera, perché essa permei la vita ed aiuti a trovare la Verità che abita il nostro cuore. E la troviamo realmente nel dialogo personale con Dio. La fedeltà alla fede della Chiesa, poi, deve coniugarsi con una "creatività catechetica" che tenga conto del contesto, della cultura e dell’età dei destinatari. Il patrimonio di storia e arte che Roma custodisce è una via ulteriore per avvicinare le persone alla fede: molto ci parla della realtà della fede qui a Roma. Invito tutti a fare tesoro nella catechesi di questa "via della bellezza" che conduce a Colui che è, secondo S. Agostino, la Bellezza tanto antica e sempre nuova.
Cari fratelli e sorelle, desidero ringraziarvi per il vostro generoso e prezioso servizio in questa affascinante opera di evangelizzazione e di catechesi. Non abbiate paura di impegnarvi per il Vangelo! Nonostante le difficoltà che incontrate nel conciliare le esigenze familiari e del lavoro con quelle delle comunità in cui svolgete la vostra missione, confidate sempre nell’aiuto della Vergine Maria, Stella dell’Evangelizzazione. Anche il Beato Giovanni Paolo II, che fino all’ultimo si prodigò per annunciare il Vangelo nella nostra città ed amò con particolare affetto i giovani, intercede per noi presso il Padre. Mentre vi assicuro la mia costante preghiera, di cuore imparto a tutti la Benedizione Apostolica. Grazie per la vostra attenzione.
Festa dei santi Marciano e Nicandro.
Oggi la chiesa ricorda i santi Marciano e Nicandro, titolari della nostra parrocchia e nostri protettori.
A distanza di quattro anni la nostra comunità è ancora dispersa per le varie new town, MAP, fondo immobiliare. Sentiamo la fatica di questo esilio e forse ci stiamo un po' abituando e rassegnando ad un difficile ritorno. Eppure in fondo in fondo è grande il desiderio di rivedersi di nuovo tutti insieme. Il cantiere è partito. E' ancora nella sua prima fase propedeutica, ma con questa intervento si eviteranno ulteriori crolli.
Ritroviamoci almeno nella comune preghiera e, prendendo in prestito l'augurio dei nostri fratelli ebrei: Il prossimo anno a Gerusalemme.
A distanza di quattro anni la nostra comunità è ancora dispersa per le varie new town, MAP, fondo immobiliare. Sentiamo la fatica di questo esilio e forse ci stiamo un po' abituando e rassegnando ad un difficile ritorno. Eppure in fondo in fondo è grande il desiderio di rivedersi di nuovo tutti insieme. Il cantiere è partito. E' ancora nella sua prima fase propedeutica, ma con questa intervento si eviteranno ulteriori crolli.
Ritroviamoci almeno nella comune preghiera e, prendendo in prestito l'augurio dei nostri fratelli ebrei: Il prossimo anno a Gerusalemme.
sabato 8 giugno 2013
Novità?
Da indiscrezioni giornalistiche sembra che oggi dovrebbe uscire la nomina del nuovo arcivescovo di L'Aquila.
A chiunque esso sia: Benvenuto a bordo, che questo Getsemani non ti sia troppo duro.
A chiunque esso sia: Benvenuto a bordo, che questo Getsemani non ti sia troppo duro.
lunedì 3 giugno 2013
Iniziato il cantiere di san Marciano.
Carissimi parrocchiani e amici, è iniziato il cantiere di san Marciano. Per ora si tratta della prima fase: messa in sicurezza e smontaggio di tutte le parti mobili (soffitto ligneo e cantoria). L'artista aquilana Lia Garofalo ha visitato la nostra chiesa ed è disposta a fare una mostra pittorica (sarebbe bello farla in occasione della prossima Perdonanza Celestiniana). Si cercano sponsor disponibili ad aiutarci nelle spese per questa iniziativa.
Cari fratelli e sorelle, nel Vangelo che abbiamo ascoltato, c’è un’espressione di Gesù che mi colpisce sempre: «Voi stessi date loro da mangiare» (Lc 9,13). Partendo da questa frase, mi lascio guidare da tre parole: sequela, comunione, condivisione.
1. Anzitutto: chi sono coloro a cui dare da mangiare? La risposta la troviamo all’inizio del brano evangelico: è la folla, la moltitudine. Gesù sta in mezzo alla gente, l’accoglie, le parla, la cura, le mostra la misericordia di Dio; in mezzo ad essa sceglie i Dodici Apostoli per stare con Lui e immergersi come Lui nelle situazioni concrete del mondo. E la gente lo segue, lo ascolta, perché Gesù parla e agisce in un modo nuovo, con l’autorità di chi è autentico e coerente, di chi parla e agisce con verità, di chi dona la speranza che viene da Dio, di chi è rivelazione del Volto di un Dio che è amore. E la gente, con gioia, benedice Dio.
Questa sera noi siamo la folla del Vangelo, anche noi cerchiamo di seguire Gesù per ascoltarlo, per entrare in comunione con Lui nell’Eucaristia, per accompagnarlo e perché ci accompagni. Chiediamoci: come seguo io Gesù? Gesù parla in silenzio nel Mistero dell’Eucaristia e ogni volta ci ricorda che seguirlo vuol dire uscire da noi stessi e fare della nostra vita non un nostro possesso, ma un dono a Lui e agli altri.
2. Facciamo un passo avanti: da dove nasce l’invito che Gesù fa ai discepoli di sfamare essi stessi la moltitudine? Nasce da due elementi: anzitutto dalla folla che, seguendo Gesù, si trova all’aperto, lontano dai luoghi abitati, mentre si fa sera, e poi dalla preoccupazione dei discepoli che chiedono a Gesù di congedare la folla perché vada nei paesi vicini a trovare cibo e alloggio (cfr Lc 9,12). Di fronte alla necessità della folla, ecco la soluzione dei discepoli: ognuno pensi a se stesso; congedare la folla! Ognuno pensi a se stesso; congedare la folla! Quante volte noi cristiani abbiamo questa tentazione! Non ci facciamo carico delle necessità degli altri, congedandoli con un pietoso: “Che Dio ti aiuti”, o con un non tanto pietoso: “Felice sorte”, e se non ti vedo più… Ma la soluzione di Gesù va in un’altra direzione, una direzione che sorprende i discepoli: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma come è possibile che siamo noi a dare da mangiare ad una moltitudine? «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente» (Lc 9,13). Ma Gesù non si scoraggia: chiede ai discepoli di far sedere la gente in comunità di cinquanta persone, alza gli occhi al cielo, recita la benedizione, spezza i pani e li dà ai discepoli perché li distribuiscano (cfr Lc 9,16). E’ un momento di profonda comunione: la folla dissetata dalla parola del Signore, è ora nutrita dal suo pane di vita. E tutti ne furono saziati, annota l’Evangelista (cfr Lc 9,17).Questa sera, anche noi siamo attorno alla mensa del Signore, alla mensa del Sacrificio eucaristico, in cui Egli ci dona ancora una volta il suo Corpo, rende presente l’unico sacrificio della Croce. E’ nell’ascoltare la sua Parola, nel nutrirci del suo Corpo e del suo Sangue, che Egli ci fa passare dall’essere moltitudine all’essere comunità, dall’anonimato alla comunione. L’Eucaristia è il Sacramento della comunione, che ci fa uscire dall’individualismo per vivere insieme la sequela, la fede in Lui. Allora dovremmo chiederci tutti davanti al Signore: come vivo io l’Eucaristia? La vivo in modo anonimo o come momento di vera comunione con il Signore, ma anche con tutti i fratelli e le sorelle che condividono questa stessa mensa? Come sono le nostre celebrazioni eucaristiche?
3. Un ultimo elemento: da dove nasce la moltiplicazione dei pani? La risposta sta nell’invito di Gesù ai discepoli «Voi stessi date…», “dare”, condividere. Che cosa condividono i discepoli? Quel poco che hanno: cinque pani e due pesci. Ma sono proprio quei pani e quei pesci che nelle mani del Signore sfamano tutta la folla. E sono proprio i discepoli smarriti di fronte all’incapacità dei loro mezzi, alla povertà di quello che possono mettere a disposizione, a far accomodare la gente e a distribuire – fidandosi della parola di Gesù - i pani e pesci che sfamano la folla. E questo ci dice che nella Chiesa, ma anche nella società, una parola chiave di cui non dobbiamo avere paura è “solidarietà”, saper mettere, cioè, a disposizione di Dio quello che abbiamo, le nostre umili capacità, perché solo nella condivisione, nel dono, la nostra vita sarà feconda, porterà frutto. Solidarietà: una parola malvista dallo spirito mondano!
Questa sera, ancora una volta, il Signore distribuisce per noi il pane che è il suo Corpo, Lui si fa dono. E anche noi sperimentiamo la “solidarietà di Dio” con l’uomo, una solidarietà che mai si esaurisce, una solidarietà che non finisce di stupirci: Dio si fa vicino a noi, nel sacrificio della Croce si abbassa entrando nel buio della morte per darci la sua vita, che vince il male, l’egoismo e la morte. Gesù anche questa sera si dona a noi nell’Eucaristia, condivide il nostro stesso cammino, anzi si fa cibo, il vero cibo che sostiene la nostra vita anche nei momenti in cui la strada si fa dura, gli ostacoli rallentano i nostri passi. E nell’Eucaristia il Signore ci fa percorrere la sua strada, quella del servizio, della condivisione, del dono, e quel poco che abbiamo, quel poco che siamo, se condiviso, diventa ricchezza, perché la potenza di Dio, che è quella dell’amore, scende nella nostra povertà per trasformarla. Chiediamoci allora questa sera, adorando il Cristo presente realmente nell’Eucaristia: mi lascio trasformare da Lui? Lascio che il Signore che si dona a me, mi guidi a uscire sempre di più dal mio piccolo recinto, a uscire e non aver paura di donare, di condividere, di amare Lui e gli altri?
Fratelli e sorelle: sequela, comunione, condivisione. Preghiamo perché la partecipazione all’Eucaristia ci provochi sempre: a seguire il Signore ogni giorno, ad essere strumenti di comunione, a condividere con Lui e con il nostro prossimo quello che siamo. Allora la nostra esistenza sarà veramente feconda. Amen.
giovedì 30 maggio 2013
Alcuni dicono che il peccato è un’offesa a Dio, ma anche un’opportunità di umiliazione per accorgersi che c’è un’altra cosa più bella: la misericordia di Dio.
Piazza San Pietro
Mercoledì, 29 maggio 2013
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Mercoledì scorso ho sottolineato il legame profondo tra lo Spirito Santo e la Chiesa. Oggi vorrei iniziare alcune catechesi sul mistero della Chiesa, mistero che tutti noi viviamo e di cui siamo parte. Lo vorrei fare con espressioni ben presenti nei testi del Concilio Ecumenico Vaticano II.
Oggi la prima: la Chiesa come famiglia di Dio.
In questi mesi, più di una volta ho fatto riferimento alla parabola del figlio prodigo, o meglio del padre misericordioso (cfr Lc 15,11-32). Il figlio minore lascia la casa del padre, sperpera tutto e decide di tornare perché si rende conto di avere sbagliato, ma non si ritiene più degno di essere figlio e pensa di poter essere riaccolto come servo. Il padre invece gli corre incontro, lo abbraccia, gli restituisce la dignità di figlio e fa festa. Questa parabola, come altre nel Vangelo, indica bene il disegno di Dio sull’umanità.
Qual è questo progetto di Dio? E’ fare di tutti noi un’unica famiglia dei suoi figli, in cui ciascuno lo senta vicino e si senta amato da Lui, come nella parabola evangelica, senta il calore di essere famiglia di Dio. In questo grande disegno trova la sua radice la Chiesa, che non è un’organizzazione nata da un accordo di alcune persone, ma - come ci ha ricordato tante volte il Papa Benedetto XVI - è opera di Dio, nasce proprio da questo disegno di amore che si realizza progressivamente nella storia. La Chiesa nasce dal desiderio di Dio di chiamare tutti gli uomini alla comunione con Lui, alla sua amicizia, anzi a partecipare come suoi figli della sua stessa vita divina. La stessa parola “Chiesa”, dal greco ekklesia, significa “convocazione”: Dio ci convoca, ci spinge ad uscire dall’individualismo, dalla tendenza a chiudersi in se stessi e ci chiama a far parte della sua famiglia. E questa chiamata ha la sua origine nella stessa creazione. Dio ci ha creati perché viviamo in una relazione di profonda amicizia con Lui, e anche quando il peccato ha rotto questa relazione con Lui, con gli altri e con il creato, Dio non ci ha abbandonati. Tutta la storia della salvezza è la storia di Dio che cerca l’uomo, gli offre il suo amore, lo accoglie. Ha chiamato Abramo ad essere padre di una moltitudine, ha scelto il popolo di Israele per stringere un’alleanza che abbracci tutte le genti, e ha inviato, nella pienezza dei tempi, il suo Figlio perché il suo disegno di amore e di salvezza si realizzi in una nuova ed eterna alleanza con l’umanità intera. Quando leggiamo i Vangeli, vediamo che Gesù raduna intorno a sé una piccola comunità che accoglie la sua parola, lo segue, condivide il suo cammino, diventa la sua famiglia, e con questa comunità Egli prepara e costruisce la sua Chiesa.
Da dove nasce allora la Chiesa? Nasce dal gesto supremo di amore della Croce, dal costato aperto di Gesù da cui escono sangue ed acqua, simbolo dei Sacramenti dell’Eucaristia e del Battesimo. Nella famiglia di Dio, nella Chiesa, la linfa vitale è l’amore di Dio che si concretizza nell’amare Lui e gli altri, tutti, senza distinzioni e misura. La Chiesa è famiglia in cui si ama e si è amati.
Quando si manifesta la Chiesa? L’abbiamo celebrato due domeniche fa; si manifesta quando il dono dello Spirito Santo riempie il cuore degli Apostoli e li spinge ad uscire e iniziare il cammino per annunciare il Vangelo, diffondere l’amore di Dio.
Ancora oggi qualcuno dice: “Cristo sì, la Chiesa no”. Come quelli che dicono “io credo in Dio ma non nei preti”. Ma è proprio la Chiesa che ci porta Cristo e che ci porta a Dio; la Chiesa è la grande famiglia dei figli di Dio. Certo ha anche aspetti umani; in coloro che la compongono, Pastori e fedeli, ci sono difetti, imperfezioni, peccati, anche il Papa li ha e ne ha tanti, ma il bello è che quando noi ci accorgiamo di essere peccatori, troviamo la misericordia di Dio, il quale sempre perdona. Non dimenticatelo: Dio sempre perdona e ci riceve nel suo amore di perdono e di misericordia. Alcuni dicono che il peccato è un’offesa a Dio, ma anche un’opportunità di umiliazione per accorgersi che c’è un’altra cosa più bella: la misericordia di Dio. Pensiamo a questo.
Domandiamoci oggi: quanto amo io la Chiesa? Prego per lei? Mi sento parte della famiglia della Chiesa? Che cosa faccio perché sia una comunità in cui ognuno si senta accolto e compreso, senta la misericordia e l’amore di Dio che rinnova la vita? La fede è un dono e un atto che ci riguarda personalmente, ma Dio ci chiama a vivere insieme la nostra fede, come famiglia, come Chiesa.
Chiediamo al Signore, in modo del tutto particolare in quest’Anno della fede, che le nostre comunità, tutta la Chiesa, siano sempre più vere famiglie che vivono e portano il calore di Dio.
sabato 25 maggio 2013
Che bella chiesa.
Che bella chiesa quella che sta emergendo in questi giorni.
Palermo riconosce in don Pino Puglisi un innamorato di Gesù Cristo e di ogni uomo. Manifesta così la nostalgia di una città diversa, dove si vive l'attenzione verso l'uomo, la passione educativa, la speranza di rapporti diversi, più umani.
Genova si stringe ad un prete che ha osato andare "verso le periferie dell'esistenza". Quelle periferie oggi hanno invaso il centro, il Duomo. Quelle periferie hanno sostituito noiosi canti religiosi con un'appassionata "Bella ciao".
Come è bella questa chiesa che, nonostante l'aria asfittica, antica, consumata che spesso, ancora, si respira è abitata dalla fantasia destabilizzante di Dio.
lunedì 13 maggio 2013
mercoledì 3 aprile 2013
Udienza del papa di mercoledì 3 aprile 2013
UDIENZA GENERALE
Piazza San Pietro
Mercoledì, 3 aprile 2013
Cari fratelli e sorelle,
buongiorno,
oggi riprendiamo le Catechesi dell’Anno della fede. Nel Credo ripetiamo questa espressione:
«Il terzo giorno è risuscitato secondo le Scritture». E’ proprio l’evento che stiamo
celebrando: la Risurrezione di Gesù, centro del messaggio cristiano, risuonato fin dagli
inizi e trasmesso perché giunga fino a noi. San Paolo scrive ai cristiani di Corinto: «A
voi… ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto; cioè che Cristo morì per i
nostri peccati, secondo le Scritture, e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno
secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici» (1Cor 15,3-5). Questa breve
confessione di fede annuncia proprio il Mistero Pasquale, con le prime apparizioni del
Risorto a Pietro e ai Dodici: la Morte e la Risurrezione di Gesù sono proprio il cuore della
nostra speranza. Senza questa fede nella morte e nella risurrezione di Gesù la nostra
speranza sarà debole, ma non sarà neppure speranza, e proprio la morte e la risurrezione di
Gesù sono il cuore della nostra speranza. L’Apostolo afferma: «Se Cristo non è risorto, vana
è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati» (v. 17). Purtroppo, spesso si è
cercato di oscurare la fede nella Risurrezione di Gesù, e anche fra gli stessi credenti si
sono insinuati dubbi. Un po’ quella fede “all’acqua di rose”, come diciamo noi; non è la
fede forte. E questo per superficialità, a volte per indifferenza, occupati da mille cose
che si ritengono più importanti della fede, oppure per una visione solo orizzontale della
vita. Ma è proprio la Risurrezione che ci apre alla speranza più grande, perché apre la
nostra vita e la vita del mondo al futuro eterno di Dio, alla felicità piena, alla certezza
che il male, il peccato, la morte possono essere vinti. E questo porta a vivere con più
fiducia le realtà quotidiane, affrontarle con coraggio e con impegno. La Risurrezione di
Cristo illumina con una luce nuova queste realtà quotidiane. La Risurrezione di Cristo è la
nostra forza!
Ma come ci è stata trasmessa la verità di fede della Risurrezione di Cristo? Ci sono due
tipi di testimonianze nel Nuovo Testamento: alcune sono nella forma di professione di fede,
cioè di formule sintetiche che indicano il centro della fede; altre invece sono nella forma
di racconto dell’evento della Risurrezione e dei fatti legati ad esso. La prima: la forma
della professione di fede, ad esempio, è quella che abbiamo appena ascoltato, oppure quella
della Lettera ai Romani in cui san Paolo scrive: «Se con la tua bocca proclamerai: “Gesù è
il Signore!”, e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo»
(10,9). Fin dai primi passi della Chiesa è ben salda e chiara la fede nel Mistero di Morte e
Risurrezione di Gesù. Oggi, però, vorrei soffermarmi sulla seconda, sulle testimonianze
nella forma di racconto, che troviamo nei Vangeli. Anzitutto notiamo che le prime testimoni
di questo evento furono le donne. All’alba, esse si recano al sepolcro per ungere il corpo
di Gesù, e trovano il primo segno: la tomba vuota (cfr Mc 16,1). Segue poi l’incontro con un
Messaggero di Dio che annuncia: Gesù di Nazaret, il Crocifisso, non è qui, è risorto (cfr
vv. 5-6). Le donne sono spinte dall’amore e sanno accogliere questo annuncio con fede:
credono, e subito lo trasmettono, non lo tengono per sé, lo trasmettono. La gioia di sapere
che Gesù è vivo, la speranza che riempie il cuore, non si possono contenere. Questo dovrebbe
avvenire anche nella nostra vita. Sentiamo la gioia di essere cristiani! Noi crediamo in un
Risorto che ha vinto il male e la morte! Abbiamo il coraggio di “uscire” per portare questa
gioia e questa luce in tutti i luoghi della nostra vita! La Risurrezione di Cristo è la
nostra più grande certezza; è il tesoro più prezioso! Come non condividere con gli altri
questo tesoro, questa certezza? Non è soltanto per noi, è per trasmetterla, per darla agli
altri, condividerla con gli altri. E' proprio la nostra testimonianza.
Un altro elemento. Nelle professioni di fede del Nuovo Testamento, come testimoni della
Risurrezione vengono ricordati solamente uomini, gli Apostoli, ma non le donne. Questo
perché, secondo la Legge giudaica di quel tempo, le donne e i bambini non potevano rendere
una testimonianza affidabile, credibile. Nei Vangeli, invece, le donne hanno un ruolo
primario, fondamentale. Qui possiamo cogliere un elemento a favore della storicità della
Risurrezione: se fosse un fatto inventato, nel contesto di quel tempo non sarebbe stato
legato alla testimonianza delle donne. Gli evangelisti invece narrano semplicemente ciò che
è avvenuto: sono le donne le prime testimoni. Questo dice che Dio non sceglie secondo i
criteri umani: i primi testimoni della nascita di Gesù sono i pastori, gente semplice e
umile; le prime testimoni della Risurrezione sono le donne. E questo è bello. E questo è un
po’ la missione delle donne: delle mamme, delle donne! Dare testimonianza ai figli, ai
nipotini, che Gesù è vivo, è il vivente, è risorto. Mamme e donne, avanti con questa
testimonianza! Per Dio conta il cuore, quanto siamo aperti a Lui, se siamo come i bambini
che si fidano. Ma questo ci fa riflettere anche su come le donne, nella Chiesa e nel cammino
di fede, abbiano avuto e abbiano anche oggi un ruolo particolare nell’aprire le porte al
Signore, nel seguirlo e nel comunicare il suo Volto, perché lo sguardo di fede ha sempre
bisogno dello sguardo semplice e profondo dell’amore. Gli Apostoli e i discepoli fanno più
fatica a credere. Le donne no. Pietro corre al sepolcro, ma si ferma alla tomba vuota;
Tommaso deve toccare con le sue mani le ferite del corpo di Gesù. Anche nel nostro cammino
di fede è importante sapere e sentire che Dio ci ama, non aver paura di amarlo: la fede si
professa con la bocca e con il cuore, con la parola e con l’amore.
Dopo le apparizioni alle donne, ne seguono altre: Gesù si rende presente in modo nuovo: è il
Crocifisso, ma il suo corpo è glorioso; non è tornato alla vita terrena, bensì in una
condizione nuova. All’inizio non lo riconoscono, e solo attraverso le sue parole e i suoi
gesti gli occhi si aprono: l’incontro con il Risorto trasforma, dà una nuova forza alla
fede, un fondamento incrollabile. Anche per noi ci sono tanti segni in cui il Risorto si fa
riconoscere: la Sacra Scrittura, l’Eucaristia, gli altri Sacramenti, la carità, quei gesti
di amore che portano un raggio del Risorto. Lasciamoci illuminare dalla Risurrezione di
Cristo, lasciamoci trasformare dalla sua forza, perché anche attraverso di noi nel mondo i
segni di morte lascino il posto ai segni di vita. Ho visto che ci sono tanti giovani nella
piazza. Eccoli! A voi dico: portate avanti questa certezza: il Signore è vivo e cammina a
fianco a noi nella vita. Questa è la vostra missione! Portate avanti questa speranza. Siate
ancorati a questa speranza: questa àncora che è nel cielo; tenete forte la corda, siate
ancorati e portate avanti la speranza. Voi, testimoni di Gesù, portate avanti la
testimonianza che Gesù è vivo e questo ci darà speranza, darà speranza a questo mondo un po’
invecchiato per le guerre, per il male, per il peccato. Avanti giovani!
martedì 19 marzo 2013
Omelia di papa Francesco nella messa di inizio pontificato.
Cari fratelli e sorelle!
Ringrazio il Signore di poter celebrare questa Santa Messa di inizio del ministero petrino nella solennità di San Giuseppe, sposo della Vergine Maria e patrono della Chiesa universale: è una coincidenza molto ricca di significato, ed è anche l’onomastico del mio venerato Predecessore: gli siamo vicini con la preghiera, piena di affetto e di riconoscenza.
Con affetto saluto i Fratelli Cardinali e Vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i religiosi e le religiose e tutti i fedeli laici. Ringrazio per la loro presenza i Rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali, come pure i rappresentanti della comunità ebraica e di altre comunità religiose. Rivolgo il mio cordiale saluto ai Capi di Stato e di Governo, alle Delegazioni ufficiali di tanti Paesi del mondo e al Corpo Diplomatico.
Abbiamo ascoltato nel Vangelo che «Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’Angelo del Signore e prese con sé la sua sposa» (Mt 1,24). In queste parole è già racchiusa la missione che Dio affida a Giuseppe, quella di essere custos, custode. Custode di chi? Di Maria e di Gesù; ma è una custodia che si estende poi alla Chiesa, come ha sottolineato il beato Giovanni Paolo II: «San Giuseppe, come ebbe amorevole cura di Maria e si dedicò con gioioso impegno all’educazione di Gesù Cristo, così custodisce e protegge il suo mistico corpo, la Chiesa, di cui la Vergine Santa è figura e modello» (Esort. ap. Redemptoris Custos, 1).
Come esercita Giuseppe questa custodia? Con discrezione, con umiltà, nel silenzio, ma con una presenza costante e una fedeltà totale, anche quando non comprende. Dal matrimonio con Maria fino all’episodio di Gesù dodicenne nel Tempio di Gerusalemme, accompagna con premura e tutto l’amore ogni momento. E’ accanto a Maria sua sposa nei momenti sereni e in quelli difficili della vita, nel viaggio a Betlemme per il censimento e nelle ore trepidanti e gioiose del parto; nel momento drammatico della fuga in Egitto e nella ricerca affannosa del figlio al Tempio; e poi nella quotidianità della casa di Nazareth, nel laboratorio dove ha insegnato il mestiere a Gesù.
Come vive Giuseppe la sua vocazione di custode di Maria, di Gesù, della Chiesa? Nella costante attenzione a Dio, aperto ai suoi segni, disponibile al suo progetto, non tanto al proprio; ed è quello che Dio chiede a Davide, come abbiamo ascoltato nella prima Lettura: Dio non desidera una casa costruita dall’uomo, ma desidera la fedeltà alla sua Parola, al suo disegno; ed è Dio stesso che costruisce la casa, ma di pietre vive segnate dal suo Spirito. E Giuseppe è “custode”, perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge. In lui, cari amici, vediamo come si risponde alla vocazione di Dio, con disponibilità, con prontezza, ma vediamo anche qual è il centro della vocazione cristiana: Cristo! Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato!
La vocazione del custodire, però, non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. E’ il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. E’ il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. E’ l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, poi come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. E’ il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene. In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una responsabilità che ci riguarda tutti. Siate custodi dei doni di Dio!
E quando l’uomo viene meno a questa responsabilità di custodire, quando non ci prendiamo cura del creato e dei fratelli, allora trova spazio la distruzione e il cuore inaridisce. In ogni epoca della storia, purtroppo, ci sono degli “Erode” che tramano disegni di morte, distruggono e deturpano il volto dell’uomo e della donna.
Vorrei chiedere, per favore, a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo “custodi” della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo! Ma per “custodire” dobbiamo anche avere cura di noi stessi!
Ricordiamo che l’odio, l’invidia, la superbia sporcano la vita! Custodire vuol dire allora vigilare sui nostri sentimenti, sul nostro cuore, perché è proprio da lì che escono le intenzioni buone e cattive: quelle che costruiscono e quelle che distruggono! Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche della tenerezza!
E qui aggiungo, allora, un’ulteriore annotazione: il prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza. Nei Vangeli, san Giuseppe appare come un uomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, capacità di amore. Non dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza!
Oggi, insieme con la festa di san Giuseppe, celebriamo l’inizio del ministero del nuovo Vescovo di Roma, Successore di Pietro, che comporta anche un potere. Certo, Gesù Cristo ha dato un potere a Pietro, ma di quale potere si tratta? Alla triplice domanda di Gesù a Pietro sull’amore, segue il triplice invito: pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle. Non dimentichiamo mai che il vero potere è il servizio e che anche il Papa per esercitare il potere deve entrare sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla Croce; deve guardare al servizio umile, concreto, ricco di fede, di san Giuseppe e come lui aprire le braccia per custodire tutto il Popolo di Dio e accogliere con affetto e tenerezza l’intera umanità, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli, quelli che Matteo descrive nel giudizio finale sulla carità: chi ha fame, sete, chi è straniero, nudo, malato, in carcere (cfr Mt 25,31-46). Solo chi serve con amore sa custodire!
Nella seconda Lettura, san Paolo parla di Abramo, il quale «credette, saldo nella speranza contro ogni speranza» (Rm 4,18). Saldo nella speranza, contro ogni speranza! Anche oggi davanti a tanti tratti di cielo grigio, abbiamo bisogno di vedere la luce della speranza e di dare noi stessi la speranza. Custodire il creato, ogni uomo ed ogni donna, con uno sguardo di tenerezza e amore, è aprire l’orizzonte della speranza, è aprire uno squarcio di luce in mezzo a tante nubi, è portare il calore della speranza! E per il credente, per noi cristiani, come Abramo, come san Giuseppe, la speranza che portiamo ha l’orizzonte di Dio che ci è stato aperto in Cristo, è fondata sulla roccia che è Dio.
Custodire Gesù con Maria, custodire l’intera creazione, custodire ogni persona, specie la più povera, custodire noi stessi: ecco un servizio che il Vescovo di Roma è chiamato a compiere, ma a cui tutti siamo chiamati per far risplendere la stella della speranza: Custodiamo con amore ciò che Dio ci ha donato!
Chiedo l’intercessione della Vergine Maria, di san Giuseppe, dei santi Pietro e Paolo, di san Francesco, affinché lo Spirito Santo accompagni il mio ministero, e a voi tutti dico: pregate per me! Amen
giovedì 14 marzo 2013
Omelia del papa Francesco alla messa con i cardinali.
In queste tre Letture vedo che c’è qualcosa di comune: è il movimento. Nella Prima Lettura il movimento nel cammino; nella Seconda Lettura, il movimento nell’edificazione della Chiesa; nella terza, nel Vangelo, il movimento nella confessione. Camminare, edificare, confessare.
Camminare. «Casa di Giacobbe, venite, camminiamo nella luce del Signore» (Is 2,5). Questa è la prima cosa che Dio ha detto ad Abramo: Cammina nella mia presenza e sii irreprensibile. Camminare: la nostra vita è un cammino e quando ci fermiamo, la cosa non va. Camminare sempre, in presenza del Signore, alla luce del Signore, cercando di vivere con quella irreprensibilità che Dio chiedeva ad Abramo, nella sua promessa.
Edificare. Edificare la Chiesa. Si parla di pietre: le pietre hanno consistenza; ma pietre vive, pietre unte dallo Spirito Santo. Edificare la Chiesa, la Sposa di Cristo, su quella pietra angolare che è lo stesso Signore. Ecco un altro movimento della nostra vita: edificare.
Terzo, confessare. Noi possiamo camminare quanto vogliamo, noi possiamo edificare tante cose, ma se non confessiamo Gesù Cristo, la cosa non va. Diventeremo una ONG assistenziale, ma non la Chiesa, Sposa del Signore. Quando non si cammina, ci si ferma. Quando non si edifica sulle pietre cosa succede? Succede quello che succede ai bambini sulla spiaggia quando fanno dei palazzi di sabbia, tutto viene giù, è senza consistenza. Quando non si confessa Gesù Cristo, mi sovviene la frase di Léon Bloy: “Chi non prega il Signore, prega il diavolo”. Quando non si confessa Gesù Cristo, si confessa la mondanità del diavolo, la mondanità del demonio.
Camminare, edificare-costruire, confessare. Ma la cosa non è così facile, perché nel camminare, nel costruire, nel confessare, a volte ci sono scosse, ci sono movimenti che non sono proprio movimenti del cammino: sono movimenti che ci tirano indietro.
Questo Vangelo prosegue con una situazione speciale. Lo stesso Pietro che ha confessato Gesù Cristo, gli dice: Tu sei Cristo, il Figlio del Dio vivo. Io ti seguo, ma non parliamo di Croce. Questo non c’entra. Ti seguo con altre possibilità, senza la Croce. Quando camminiamo senza la Croce, quando edifichiamo senza la Croce e quando confessiamo un Cristo senza Croce, non siamo discepoli del Signore: siamo mondani, siamo Vescovi, Preti, Cardinali, Papi, ma non discepoli del Signore.
Io vorrei che tutti, dopo questi giorni di grazia, abbiamo il coraggio, proprio il coraggio, di camminare in presenza del Signore, con la Croce del Signore; di edificare la Chiesa sul sangue del Signore, che è versato sulla Croce; e di confessare l’unica gloria: Cristo Crocifisso. E così la Chiesa andrà avanti.
Io auguro a tutti noi che lo Spirito Santo, per la preghiera della Madonna, nostra Madre, ci conceda questa grazia: camminare, edificare, confessare Gesù Cristo Crocifisso. Così sia.
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