SOS RICOSTRUZIONE.

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lunedì 30 agosto 2010

Mi sa che l'asino non era blu!


"...lo sai che il povero parla forte, è una delle sue caratteristiche, una costante storica e
geografica, parla forte da sempre e nel mondo intero, parla tanto più forte in quanto è
circondato da poveri... Il povero ha pareti sottili..."

Non so dire se la contestazione, nel corso del corteo della perdonanza, messa in atto dal
popolo delle carriole, sia stata fuori luogo, come molti hanno detto. Ognuno ha diritto di
contestare e lo fa proprio nei momenti in cui questa può essere sentita forte, può essere
notata. Quello che secondo me emerge è lo stacco, ormai profondo, tra il popolo e la classe
politica, locale e nazionale. Una classe politica chiusa sempre più in una
autoreferenzialità, incapace di ascoltare il grido del povero. Una classe politica lontana
dai reali bisogni e sentimenti della gente, che pensa di risolvere i problemi aumentando a
dismisura decreti e decretini, nominando ulteriori commissari e vicecommissari, in una
macchina burocratica ormai in panne, incapace di risposte vere, concrete, possibili. Molti hanno detto: "non oggi, non durante la pardonanza".
Perché?
Ogni giorno ci sono motivi per rimandare il grido del povero. Lo fanno anche gli apostoli, cercando di mettere al riparo Gesù da tutti gli urlatori inopportuni. Lui però mai ha detto: "Non oggi, non qui".
Lui ha ascoltato ogni grido, a tutti ha dato una risposta, con Gesù il grido di dolore diventava
inno di speranza. "Se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto" lo rimprovera la
sorella di Lazzaro, Lui legge, in questo sfogo, il desiderio di vita e di bene e risponde e
risuscita. Noi invece soffochiamo, mettiamo a tacere, usiamo lo forze dell'ordine affinché
nulla possa turbare lo svolgimento di un programma bell'è fatto. Nell'editoriale di un locale tg si metteva in evidenza come coloro che avevano manifestato,
rivendicando per se la Perdonanza, poi non si erano visti in basilica, per vivere pienamante ed
in verità l'essenza della festa. Vorrei chiedere quanti di quelli che hanno sfilato nel
corteo storico, quanti politici ed amministratori, quanti rappresentanti della cosa
pubblica, sempre in prima fila nel palco delle autorità, hanno poi messo piede in basilica
ed hanno vissuto in verità quello che avevano folkloristicamente annunciato nel corteo? Ma
mi rendo conto che così facendo mettiamo dei poveri peccatori contro altri poveri peccatori.
Lasciamo a Dio il giudizio su chi ha attraversato quella porta con tutto il proprio cuore e
su chi invece l'ha attraversata per puro dovere istituzionale. Ad colui che, commentando la messa di chiusura, evidenziava l'esiguità numerica di coloro
che avevano osato manifestare contro i rappresentanti della politica, vorrei dire che Dio ha
una numerazione diversa. Per Dio il singolo, l'uno, è tutto il mondo. Non siamo massa, siamo
invece persone, ognuno pensato da sempre, amato da sempre e per sempre. L'io di ognuno di
noi è unico davanti a Lui. Almeno noi preti amiamo la matematica di Dio e non quella del
mondo.Ma ciò che più mi ha fatto male è una notizia che nessun giornale riporterà mai, e che io ho saputo tramite la testimonianza di un volontario presente alla scena. Il rifiuto, da parte
della scorta di un politico presente alla manifestazione, di far posto al passaggio di un
ambulanza impegnata in una operazione di soccorso. Ecco purtroppo che prende corpo la mia
domanda retorica, fatta alcuni giorni in un altro post di questo blog: "Ma l'asino di
Celestino V era blu?". Forse no visto che anche quest'anno la sua presenza non ha avuto una
corsia preferenziale ma è servita da corteo ai presunti grandi del nostro tempo. E pensare
che proprio il vangelo di oggi ci raccomandava di cambiare la priorità alle nostre
importanze.
La porta santa di Collemaggio è stata chiusa, ora, sì, posso augurare a tutti gli amici del
blog: Buona Perdonanza a tutti, perchè ora inizia la possibilità di vivere quella novità di
vita che san Pietro Celestino ha voluto donare ad ogni uomo, anche ad un solo uomo.

mercoledì 25 agosto 2010

Ma l'asino di Celestino V era blu?

Siamo nei giorni della Perdonanza. Come sempre assenze e presenze suscitano un vespaio di polemiche, spesso sterili e da salotto. In questo clima, poco religioso, si è inserito mons. Molinari con la sua lettera a Celestino, forse estremo tentativo di riportare il dibattito nel suo alveo naturale, che è quello della spiritualità e della misericordia di Dio. Ma come sempre, quando i mezzi di informazione percepiscono la bomba nascosta tra le righe, distorcono la realtà a proprio piacimento, ed usano tutto per dimostrare un loro pre-giudizio, una loro verità. Credo che le parole dell'arcivescovo non siano esenti da questo tentativo. Io personalmente ho apprezzato l'intervento, misurato, di mons. Molinari. Mi permetto solo di porre io alcune domande a San Pietro Celestino, forse più eretiche di quelle a Lui poste dall'arcivescovo. Anzitutto vorrei chiedere a Celestino V:
come è stato il suo ritorno a L'Aquila?
Se nel suo forzato pellegrinaggio per le diocesi dell'Abruzzo e del Molise ha mai sentito nostalgia per il silenzio della sua basilica?
Che tipo di fede ha trovato nelle nostre chiese?
Quale sarà la sua relazione al Padreterno dopo questa visita pastorale?
Essendo stato papa avrebbe suggerimenti da fare all'attuale pontificato?
Condivide le scelte della santa sede sulle nomine episcopali della nostra regione ecclesistica? Anch'egli avrebbe nominato i pastori che ha incontrato?
Allo stato attuale avrebbe donato la Perdonanza alla città e alla municipalità dell'Aquila?
Queste domande riguardano prettamente la vita della chiesa. Ma come uomo che ha avuto a che fare anche con il potere temporale (politico per intenderci), forse potrebbe rispondere anche ad altre domande, quali:
- lui che ha usato un umile asino per farsi incoronare pontefice cosa pensa dello spreco di auto blu e di scorte che vedremo nei prossimi giorni, quando non ci sono soldi per garantire la sopravvivenza dignitosa e serena dei terremotati negli alberghi;
- lui che è stato "usato" dall'imperatore per porre fine alla lotta interna alla chiesa, cosa pensa degli attuali imperatori che invece lo usano, ed usano di Cristo, per attizzare lotte intraecclesiali e giustificare soprusi e baronie, che sposano all'occorrenza presunti valori cattolici e che vivono poi, nella prassi da perfetti pagani (non che questo sia sbagliato, ognuno vive come vuole, ma poi ne tiri le conseguenze);
- lui che, dopo pochi mesi, decide di dimettersi, cosa pensa di sederi così saldamente attaccatti alle poltrone del potere che nemmeno un terribile terremoto riesce a smuovere;
- lui che, in pieno medioevo, riesce a cosruire una magnifica basilica di luce cosa pensa dell'impresa post moderna che invece costruisce angoli di penombra e di buio, piazze di solitudine e templi di disperazione, che lascia morire una città per l'incapacità di pensare un futuro a lunga scadenza e la pochezza di fantasia nell'immediato presente;
- lui, povero tra i poveri, che spreca i suoi soldi e quelli dei templari (a detta di alcuni) per la costruzione di Collemaggio, cosa ne pensa della dottrina, ormai consolidata, almeno qui a L'Aquila, seconda la quale le chiese devono essere l'ultima cosa da ricostruire, se mai ci saranno soldi, tempo e forze necessarie;
- cosa ne pensa di un cristianesimo divenuto hobby, tra una uscita di caccia, un pranzo domenicale negli agriturismi e un tresette la sera con gli amici nella tenda/chiesa;
- lui, costretto alla prigione dorata da Bonifacio VIII, cosa ne pensa degli avvisi di garanzia e degli avvisati del post sisma;
- ed infine vorrei chiedergli: se lo avessero lasciato libero di scegliere, e non lo avessero costretto in un preziosa teca dorata, sarebbe tornato a L'Aquila?
Forse Celestino V, nel tempo risponderà alle mie inopportune domande, o forse no perché in fondo chi sono io per porre simili domande? Perché mai dovrei sentirmi in dovere di ricevere delle risposte? In nome di cosa pretendere il soddisfacimento delle mie perplessità?
Ecco forse la lezione di quest'anno che mi viene da san Pietro Celestino: un po' di umiltà non guasta mai.

martedì 10 agosto 2010

Oggi non si è parlato d'altro, tg, giornali, sms, mail tutti a ricordare che stiamo per vivere la magnifica notte di san Lorenzo. Notte di desideri inespressi e inconfessabili, notte di nasi all'insù, vissute al buio delle periferie affincé le luci artificiali delle città non possano smorzare l'evento tanto atteso. Come ogni anno due cose mi colpiscono:
- in realtà saranno le notti successive a veder comparire il più grande sciame stellare (che strano usare la parola sciame per parlare di un evento non distruttivo);
- in realtà la notte di san Lorenzo è già passata. Se infatti la notte di natale è quella che va dal 24 al 25 dicembre, la notte di capodanno è quella che va dal 31 dicembre al 1 gennaio, la notte della befana è quella tra il 5 e il 6 gennaio... allora la notte di san Lorenzo è quella che va dal 9 al 10 di agosto.
Siamo così poco adusi alla speranza che non sappiamo nemmeno quando è il tempo giusto per desiderare (che bella questa parola oggi, ha in se la radice di stella), per alzare lo sguardo al cielo in attesa di una risposta. Ma forse questa notte ha un altro scopo. Forse la scia di luce che il nostro sguardo riuscirà a catturare ci farà capire come tutto si riduce ad un attimo, come l'attimo è l'unica cosa che veramente ci appartiene. Il passato non è più, il futuro non è ancora: tutto è legato ad un attimo affimero, tutto si gioca in un attimo. Un attimo che, se luminoso, potrà accendere la domanda e la speranza.
Adolescente ho avuto la fortuna di incontrare molti personaggi importanti, uno di questi, fondatore di una comunità di recupero per tossicodipendendi, mi ha lasciato una frase ed una verità che ancora oggi mi ripeto e che stanotte lascio a voi che leggete il blog: "Se vuoi tracciare dritto il solco della tua vita attacca il tuo carro ad una stella".
Quelle stelle cadenti mi piace immaginarle non tanto come le lacrime di san Lorenzo ma le scintille che, dopo aver trapassato il suo corpo ed essere volate verso il cielo, ricadono sulla terra piene di un nuovo significato.
Lorenzo, diacono fatto fuoco, accenda in noi il desiderio di illuminare la notte.

martedì 3 agosto 2010

Notte bianca

Sono mancato alcuni giorni da L'Aquila e, tornando, ho notato una certa euforia collettiva (o almeno come tale fatta passare) riguardo la riuscita della notte bianca a L'Aquila (sabato 31 luglio u.s.). Giornalisti e giornalai, sociologi, politici e politicanti, tutti contenti per la felice riuscita dell'evento, felici di aver visto, o anche solo immaginato, 20.000 persone sciamanti nelle buie e devastate strade del centro. Devo confessare che ogni volta che ho avuto notizia dell'invasione del centro, della violenza perpetrata alla zona rossa, ho sentito un senso di rabbia. Una rabbia inspiegabile, o forse originata dalla consapevolezza che quel centro, per come è adesso, espone le nostre nudità. Finestre rimaste aperte da quella notte, case sventrate, squarci di cielo la dove invece avrebbe dovuto esserci un tetto. Questa nudità messa alla gogna da una utopia falsamente normalizzante che cerca di imbonirci con percorsi che portano verso il nulla più assoluto. Ricordo da bambino un anziano signore, mio vicino di casa, che volendo imparare a guidare il motorino, decise di provarci in un caldo pomeriggio estivo, quando molti si concedevano una meritata siesta; e non solo, per meglio riuscirci, fece la sua prima guida su di una strada in discesa. Lo schianto sulla casa di fronte fu enorme, la morte arrivò sul colpo tanto che i suoi occhi rimasero aperti. Un altro vicino, forse rimbambito per l'improvviso risveglio o magari per aver alzato un po' il gomito durante il pranzo, continuava a schiaffeggiarlo dicendogli: Tranquillo non è nulla.
E' questo secondo me il messaggio che passa dopo e attraverso questi falsi eventi: Noi morti in una città morta e qualcuno (rimbambito) che continua a dire: Tranquilli non è nulla, ci siamo ripresi il centro.
20.000 persone che gironzolano verso il centro della città, senza meta e senza scopo, con una birra in mano per soffocare il dolore del colpo, come una flotta di spermatozoi alla conquista di un ovulo in un utero sterile. E mi vengono in mente le parole di Erri De Luca che riporto: "Mia madre sapeva fare bene la frittata e la parmigiana di melanzane. Io non ne mangerò mai più. E' un modo per onorare la distanza. Perché la distanza la si onora, non la si supera. Ogni giorno è il primo giorno. Per sempre".