La liturgia oggi ci propone, dal vangelo di Matteo, la parabola del seminatore. Una parabola pericolosa perché può indurre a due atteggiamenti, entrambi sbagliati.
Da un lato ci si può identificare con uno dei terreni non buoni, con i rovi e le pietre. Esito di questa identificazione sarà lo scoraggiamento. Cosa posso farci se il mio è un terreno poco accogliente, con poca terra, senz'acqua, pieno di rovi?
Dall'altro lato potremmo identificarci con il terreno buono, vantandoci della nostra rendita. Pensando agli altri sempre come terreni aridi ed infecondi e a noi cone terreni accoglienti e fruttuosi. Questo però potrebbe portarci al peccato di superbia.
Credo che la parabola vuole insegnarci anzitutto la larghezza di vedute del seminatore, la sua incredibile generosità che lo porta a buttare il seme anche la dove sa di non poter raccogliere. Ogni vita è oggetto della semina di Dio, non c'è situazione che possa impedire la sua generosità.
Siamo sotto lo sguardo ed il lavoro di un Dio generoso.
Dalla parte dell'uomo allora l'atteggiamento giusto è quello di capire quali terreni mi costituiscono. Non siamo dei robot senza cuore, ma degli essere con passioni e debolezze, con vizi e virtù. La nostra vita altro non è che l'insieme di tanti momenti e di tanti interessi: la famiglia, la parrocchia, il paese, il lavoro, l'economia, l'amore, i soldi, il tempo libero... Alcune di queste zone sono aperte alla Parola di Dio, la sua parola attecchisce, e produce frutto, altre invece non sono disponibili, rimangono come aride. A noi il compito di coltivare comunque il seme, di dargli la necessaria cura. Compito che può essere svolto solo con gratitudine, perché come si fa a non essere grati a Colui che punta anche sulle mie aridità con il rischio sicuro di perdere il prodotto. Anche le mie aridità sono dunque abitate da Colui che ha per sogno riportare il mondo a quel giardino originario dove Dio e l'uomo passeggiavano insieme nella brezza della sera.
domenica 10 luglio 2011
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