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lunedì 13 febbraio 2012

Disobbediente e redento.

Dal Vangelo secondo Marco 1,40-45

In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro». Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.

La liturgia di queste domeniche ci pone di fronte ad un Gesù che continuamente opera miracoli e guarigioni. Il posseduto liberato nella sinagoga, la suocera di Pietro guarita nell’intimità della casa ed ora un lebbroso. Come in un crescendo l’evangelista Marco ci fa capire che non c’è luogo al mondo nel quale siamo messi al sicuro dalla sofferenza ma, contemporaneamente, non c’è luogo al mondo in cui Gesù non possa svolgere la sua azione salvatrice. Il lebbroso al tempo di Gesù era un inavvicinabile, contagioso ma soprattutto peccatore. Dio aveva punito Maria, la sorella di Mosè, con la lebbra proprio per la sua intima ribellione. La lebbra quindi segno esteriore di un interiore rifiuto. Con Gesù abbiamo un Dio che non punisce ma si fa vicino. Addirittura tocca, si contamina, prende per osmosi il peccato di quell’uomo, la sua sofferenza, partecipa della sua esclusione sociale, politica, religiosa pur di liberare quell’uomo. Lui che molte volte aveva guarito e salvato con la sola parola adesso invece guarisce e salva toccando. Un Gesù che si sporca le mani con i bisogni dell’uomo, che non si cela dietro una purità rituale, religiosa, precettistica ma ultimamente disumana. Tendere la mano: una espressione che dovrebbe essere il programma di ogni cristiano, ma forse di ogni uomo. Ce ne siamo accorti in questi giorni di disagi per la neve. Quanto abbiamo desiderato una mano tesa e quanto abbiamo costruito quando siamo riusciti ad uscire dalla nostra isolata lamentela e ci siamo messi insieme a spalare, liberare, aprire varchi. Perché la Parola di Dio non abita le nuvole e non è per l’aldilà, ma con l’Incarnazione abita la terra, trasfigura la realtà, compie miracoli feriali di libertà, comunione e condivisione. Qui vive la profezia cristiana di un mondo redento. Tendere la mano per contaminarsi con il bisogno dell’altro, tendere la mano per condividere nel profondo i sentimenti dell’alto, per sentire in noi le vibrazioni negative di chi ci sta di fronte. Tendere la mano perché è bello vedere l’altro, l’uomo, che, libero e felice, annuncia a tutti una nuova vita, il futuro che diviene di nuovo possibile e un Dio che mi è compagno con cui camminare e non nemico da cui difendermi. Un uomo libero che, seppur redento, continua a disobbedire e infatti annuncia a tutti, proclama, il suo vangelo, la porzione di bella notizia che si è realizzata in lui, per lui e nonostante lui.

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