mercoledì 28 ottobre 2009
Festa di tutti i Santi.
Siamo ormai alla vigilia della festa di Ognisanti e una seria riflessione si impone alla nostra fede. C'è infatti il grande rischio di relegare la santità al solo giorno di questa festa, dimenticando che ogni giorno la liturgia della chiesa pone alla nostra attenzione l'esempio e l'intercessione di questi nostri fratelli e sorelle nella fede. Fratelli e sorelle che non hanno esitato a donarsi interamente a Cristo, rispondendo con generosità a quell'amore che ci precede, ci crea, ci vuole da sempre e nel quale siamo chiamati a vivere per sempre (ce lo ricorderà la commemorazione dei fedeli defunti del 2 novembre). Oltre al rischio di relegare la santità nel tempo c'è anche quello di relegarla nello spazio. Per molti di noi i santi sono delle statue, il più delle volte angelicate, lontane mille miglia dai reali problemi della vita. Per molti secoli la santità era prerogativa di preti, frati e suore. Grazie al pontificato di Giovanni Paolo II abbiamo scoperto che la santità è invece quella vocazione universale, quindi di tutti e di ognuno, di cui già parlava il Concilio Vaticano II. Sante mamme e papà, santi giovani e bambini, santi laici e religiosi, santi bianchi e neri e gialli. Veramente quella moltitudine immensa che ha lavato le vesti nel sangue dell'Agnello di cui parla il libro dell'Apocalisse. Mi ha fatto molta impressione ad esempio la prima volta che ho visto la statua di san Giuseppe Moscati, con il suo camice medico, lo stetoscopio nella tasca e quel tocco di modernità dato dai soli baffi, come un qualsiasi uomo incontrato al bar; niente saio, talare, scapolari e mozzette tricolori a sottolineare differenze ecclesiastiche solo miseramente umane. I santi ci dicono che l'abito del cristiano, quello vero, originale, è quello bianco, non come testimonianza di una purezza fisica, di una ostentata verginità, ma simbolo di una appartenenza al Signore risorto. Appartenenza dataci in dono nel battesimo, abbraccio di Cristo, e sempre in via di perfezione nella appartenenza diuturna alla vita della chiesa, alla sua sacramentalità, alla condivisione dell'unico Pane eucaristico e dell'unica Parola.
Santi cioè suoi, pur nella consapevolezza dei nostri limiti e dei nostri peccati, ma comunque suoi.
martedì 27 ottobre 2009
Come ti caccio Dio in punta di piedi.
LETTERA PUBBLICATA SU AVVENIRE DI DOMENICA 25 OTTOBRE 2009
L’Aquila: per Messe non più sotto le tende.
Caro Direttore, vorrei segnalarle una situazione che si va facendo ogni giorno più grave: la condizione dei preti dell’Aquila e delle zone terremotate d’Abruzzo. È noto ormai l’impegno a smantellare prima possibile tutte le tendopoli, cercando sistemazioni più adeguate per i terremotati, con l’arrivo prematuro del freddo invernale che, posso assicurarlo, in una città come l’Aquila non è uno scherzo. È noto, inoltre, che i nuclei familiari più numerosi troveranno alloggio nelle abitazioni temporanee costruite rapidamente in questi mesi, alcune delle quali sono già state consegnate. Non è noto, purtroppo, che almeno la metà degli aquilani non troverà sistemazione in quegli alloggi e tra queste persone vi sono tutti, ma proprio tutti, i sacerdoti dell’Aquila. Il motivo risiede nel fatto che gli alloggi vengono assegnati in base al numero dei componenti il nucleo familiare, e dunque tutte le persone singole e i nuclei di due e anche tre persone restano esclusi. Per queste persone vengono adottate soluzioni come case in affitto o alberghi in altre città (Sulmona, Avezzano, Pescara ecc). Va da sé che un sacerdote che debba celebrare anche solo due sante Messe deve viaggiare tutti i giorni verso L’Aquila, ma questo sarebbe un problema di poco conto se non fosse che una volta giunto in città quel sacerdote non ha un posto dove stare né soprattutto dove celebrarla, la Messa. Con lo smantellamento delle tendopoli, infatti, si stanno smantellando anche le uniche «chiese» funzionali, cioè le tende. Mi è capitato la scorsa domenica di girovagare per le tendopoli rimaste, in cerca di una Messa, e l’ho trovata dopo molto solo perché un sacerdote esacerbato aveva impedito lo smantellamento di una tenda-chiesa «occupandola», perché doveva celebrare un Battesimo e non sapeva dove altro andare. Nessuna struttura sostitutiva, da adibire a chiesa, si sta realizzando. E se qualcosa è stato previsto è ancora tutto sulla carta, mentre le tendopoli saranno smantellate completamente entro pochi giorni. Vorrei segnalare che dopo il 6 aprile solo tre chiese sono rimaste agibili in tutta una città che conta 70 mila residenti. È evidente che in questo modo si lacera il tessuto sociale di una comunità e soprattutto si fa mancare una importantissima forma di assistenza, quella spirituale. Non si può lasciare una città così grande senza preti, senza chiese, senza luoghi di aggregazione: è come dire di volerla lasciare senza Dio. Così quel Dio che la scorsa domenica ho visto farsi pane sotto una tenda di fortuna, mantenuta in piedi solo dal coraggio di un prete esasperato, viene scacciato perfino da quelle tende, viene scacciato come 2000 anni fa. Solo che a L’Aquila, purtroppo, non abbiamo più neanche una stalla dove poterlo ospitare.
Un caro saluto.
Alessia Pelini
Premetto che non conosco la signora Pelini ma ho provato un certo piacere nel leggere la sua lettera (che riporto sopra) sull'Avvenire di domenica 25 ottobre u.s.
Sono mesi, ed esattamente da quando ho letto i criteri proposti dal comune di L'Aquila per l'assegnazione degli alloggi ed in generale per tutto quel che riguarda il progetto C.A.S.E., che evidenzio come di fatto non sono stati cacciati solo i preti dalla città ma addirittura Dio stesso è stato di fatto estromesso dalla vita delle persone. Eppure nessuno di noi è andato via, ma tutti e dico tutti, siamo rimasti sul campo, con enormi sacrifici, per assicurare la nostra vicinanza, umanamente povera ma portatrice di una grazia soprannaturale, a tutti i fratelli e le sorelle colpite dal terremoto.
Cosa accadrà quando a Bazzano o a Cese di Preturo o a Paganica 2, Sassa 3, Roio 4 e così via si sentirà la necessità di iniziare la catechesi dei fanciulli in preparazione ai Sacramenti? Come saranno festeggiate le feste patronali a cui il nostro popolo è tanto legato? E quando si dovrà fare un funerale o un matrimonio? Perché non si è pensato, non dico ad una chiesa vera e propria (con il nichilismo e l'anticlericalismo imperanti i borghesi ben pensanti avrebbero ottenuto le pubbliche scuse se non addirittura le dimissioni di Bertolaso) ma almeno ad una sala polifunzionale che all'occorrenza potesse fungere anche da sala della comunità. Allora i cittadini troveranno facile sparare sulla croce rossa (alias sul prete che non c'è) perchè è sempre più facile colpire chi sta in trincea e non coloro che siedono in comode poltrone, dietro scrivanie lontane anni luce dalla vita della persone. Dare una casa non vuol dire mettere sotto un tetto una persona (sarebbero comodi loculi e nulla di più) ma vuol dire creare una serie di possibili relazioni tra i soggetti in modo da permettere una vita dignitosa e sociale. Al momento purtroppo nessuno sembra accorgersene, si sta riducendo tutto ad economia, burocrazia, carte da compilare e soldi da ricevere. Ma quando questa politica si dimostrerà incapace a risolvere il problema dell'uomo allora ho paura si di un esodo apocalittico dalla città. Amici aquilani non credete a chi promette le C.A.S.E. come situazione provvisoria, li dovremo trascorrere molti anni della vita, alcuni li nasceranno, molti li moriranno senza più rientrare alle loro abitazioni. Non accontetiamoci di sopravvivere alla meno peggio in attesa di tempi migliori, rischiamo di morire delusi, ma trasformiamo questo tempo che ci vien dato nel tempo migliore da vivere. Per quanto mi riguarda voglio essere protagonista della mia vita e non un numero in un elenco di assistiti. Facciamo in modo che L'Aquila non diventi un grande R.S.A. (Ricovero sanitario assistito, alias ospizio) ma nascendo secondo le esigenze vere dell'uomo possa essere modello per uno sviluppo umanamente sostenibile e fruttuoso.
Una società senza Dio è destinata alla violenza ed al sopruso del più forte, del più scaltro, del più furbo che quasi sempre coincide con il più cretino. Volare alto potrebbe essere il nuovo imperativo categorico di questa nostra fase di vita.
L’Aquila: per Messe non più sotto le tende.
Caro Direttore, vorrei segnalarle una situazione che si va facendo ogni giorno più grave: la condizione dei preti dell’Aquila e delle zone terremotate d’Abruzzo. È noto ormai l’impegno a smantellare prima possibile tutte le tendopoli, cercando sistemazioni più adeguate per i terremotati, con l’arrivo prematuro del freddo invernale che, posso assicurarlo, in una città come l’Aquila non è uno scherzo. È noto, inoltre, che i nuclei familiari più numerosi troveranno alloggio nelle abitazioni temporanee costruite rapidamente in questi mesi, alcune delle quali sono già state consegnate. Non è noto, purtroppo, che almeno la metà degli aquilani non troverà sistemazione in quegli alloggi e tra queste persone vi sono tutti, ma proprio tutti, i sacerdoti dell’Aquila. Il motivo risiede nel fatto che gli alloggi vengono assegnati in base al numero dei componenti il nucleo familiare, e dunque tutte le persone singole e i nuclei di due e anche tre persone restano esclusi. Per queste persone vengono adottate soluzioni come case in affitto o alberghi in altre città (Sulmona, Avezzano, Pescara ecc). Va da sé che un sacerdote che debba celebrare anche solo due sante Messe deve viaggiare tutti i giorni verso L’Aquila, ma questo sarebbe un problema di poco conto se non fosse che una volta giunto in città quel sacerdote non ha un posto dove stare né soprattutto dove celebrarla, la Messa. Con lo smantellamento delle tendopoli, infatti, si stanno smantellando anche le uniche «chiese» funzionali, cioè le tende. Mi è capitato la scorsa domenica di girovagare per le tendopoli rimaste, in cerca di una Messa, e l’ho trovata dopo molto solo perché un sacerdote esacerbato aveva impedito lo smantellamento di una tenda-chiesa «occupandola», perché doveva celebrare un Battesimo e non sapeva dove altro andare. Nessuna struttura sostitutiva, da adibire a chiesa, si sta realizzando. E se qualcosa è stato previsto è ancora tutto sulla carta, mentre le tendopoli saranno smantellate completamente entro pochi giorni. Vorrei segnalare che dopo il 6 aprile solo tre chiese sono rimaste agibili in tutta una città che conta 70 mila residenti. È evidente che in questo modo si lacera il tessuto sociale di una comunità e soprattutto si fa mancare una importantissima forma di assistenza, quella spirituale. Non si può lasciare una città così grande senza preti, senza chiese, senza luoghi di aggregazione: è come dire di volerla lasciare senza Dio. Così quel Dio che la scorsa domenica ho visto farsi pane sotto una tenda di fortuna, mantenuta in piedi solo dal coraggio di un prete esasperato, viene scacciato perfino da quelle tende, viene scacciato come 2000 anni fa. Solo che a L’Aquila, purtroppo, non abbiamo più neanche una stalla dove poterlo ospitare.
Un caro saluto.
Alessia Pelini
Premetto che non conosco la signora Pelini ma ho provato un certo piacere nel leggere la sua lettera (che riporto sopra) sull'Avvenire di domenica 25 ottobre u.s.
Sono mesi, ed esattamente da quando ho letto i criteri proposti dal comune di L'Aquila per l'assegnazione degli alloggi ed in generale per tutto quel che riguarda il progetto C.A.S.E., che evidenzio come di fatto non sono stati cacciati solo i preti dalla città ma addirittura Dio stesso è stato di fatto estromesso dalla vita delle persone. Eppure nessuno di noi è andato via, ma tutti e dico tutti, siamo rimasti sul campo, con enormi sacrifici, per assicurare la nostra vicinanza, umanamente povera ma portatrice di una grazia soprannaturale, a tutti i fratelli e le sorelle colpite dal terremoto.
Cosa accadrà quando a Bazzano o a Cese di Preturo o a Paganica 2, Sassa 3, Roio 4 e così via si sentirà la necessità di iniziare la catechesi dei fanciulli in preparazione ai Sacramenti? Come saranno festeggiate le feste patronali a cui il nostro popolo è tanto legato? E quando si dovrà fare un funerale o un matrimonio? Perché non si è pensato, non dico ad una chiesa vera e propria (con il nichilismo e l'anticlericalismo imperanti i borghesi ben pensanti avrebbero ottenuto le pubbliche scuse se non addirittura le dimissioni di Bertolaso) ma almeno ad una sala polifunzionale che all'occorrenza potesse fungere anche da sala della comunità. Allora i cittadini troveranno facile sparare sulla croce rossa (alias sul prete che non c'è) perchè è sempre più facile colpire chi sta in trincea e non coloro che siedono in comode poltrone, dietro scrivanie lontane anni luce dalla vita della persone. Dare una casa non vuol dire mettere sotto un tetto una persona (sarebbero comodi loculi e nulla di più) ma vuol dire creare una serie di possibili relazioni tra i soggetti in modo da permettere una vita dignitosa e sociale. Al momento purtroppo nessuno sembra accorgersene, si sta riducendo tutto ad economia, burocrazia, carte da compilare e soldi da ricevere. Ma quando questa politica si dimostrerà incapace a risolvere il problema dell'uomo allora ho paura si di un esodo apocalittico dalla città. Amici aquilani non credete a chi promette le C.A.S.E. come situazione provvisoria, li dovremo trascorrere molti anni della vita, alcuni li nasceranno, molti li moriranno senza più rientrare alle loro abitazioni. Non accontetiamoci di sopravvivere alla meno peggio in attesa di tempi migliori, rischiamo di morire delusi, ma trasformiamo questo tempo che ci vien dato nel tempo migliore da vivere. Per quanto mi riguarda voglio essere protagonista della mia vita e non un numero in un elenco di assistiti. Facciamo in modo che L'Aquila non diventi un grande R.S.A. (Ricovero sanitario assistito, alias ospizio) ma nascendo secondo le esigenze vere dell'uomo possa essere modello per uno sviluppo umanamente sostenibile e fruttuoso.
Una società senza Dio è destinata alla violenza ed al sopruso del più forte, del più scaltro, del più furbo che quasi sempre coincide con il più cretino. Volare alto potrebbe essere il nuovo imperativo categorico di questa nostra fase di vita.
lunedì 12 ottobre 2009
"Una cosa sola ti manca..." Domenica 11 ottobre 2009
+ Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”». Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».Pietro allora prese a dirgli: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà».
Parola del Signore.
Ho celebrato l'eucaristia nella caserma della Guardia di Finanza a Coppito, la prima volta di nuovo a L'Aquila da quel 6 aprile cha ha cambiato la vita e le abitudini a tutti noi. Non poteva esserci Liturgia della Parola più adatta di quella odierna per riprendere, guardando all'essenziale, le fila di rapporti vecchi e nuovi e per ridare senso e speranza alla mia stessa ministerialità. Infatti nel vangelo di oggi vi è la ricetta dell'eterna giovinezza, cioè la ricetta per mantenere un cuore aperto alla novità, alla speranza, al sogno, al futuro. Sino a quando il mio cuore saprà mantenere desta la domanda sulla vita eterna la vecchiaia non troverà spazio nella mia vita. Si può essere giovani anche a cento anni se solo si avrà il coraggio di chiedere a Colui che solo può rispondere il dono del senso della vita, il legame che unisce il momento che vivo, lieto o triste, al tutto cui anelo, ciò che salva l'effimero di cui tutto sembra consistere con il fondamento che pur percepiamo nelle cose e negli eventi, che desideriamo ci sia affinchè non tutto vada perduto nell'oblio della inconsistenza. Ci sono incontri ed eventi che ripropongono prepotente la domanda. Il terremoto è sicuramente uno di questi. Al di la delle umane, umanissime lamentele, cosa può dare consistenza e senso a questo evento? Cristo ci rimanda immediatamente alla Legge e alla sua obbedienza ma molti di noi hanno fatto tutto questo sin dalla giovinezza, non io che non brillo per santità di vita. Ma pur essendo stati fedeli ai comanadamenti di Dio, si fa fatica a capire e quindi scatta una profondità di verifica e di domanda. Tutto questo l'ho fatto sin dalla giovinezza ma non mi corrisponde pienamente, non basta. Di fronte alla profondità della domanda, di fronte all'abisso da cui scaturisce, Cristo non può fare a meno di trasformarsi da Maestro ad Innamorato. Ed ecco la provocazione: giocati in un rapporto personale con me, come a dire frequentiamoci, stammi vicino, camminami accanto... come forse suggerisce l'immagine che ho scelto per questo post, abbi il coraggio di mettere quella tessera che sola può completare il tuo cuore, tessera pericolosissima perchè una volta posta permette al sangue di pulsare in tutto il corpo, cortocircuita l'umano che è in te provocando scintille che devono infiammare ciò che ti circonda. Il giovane ricco non ha il coraggio di darsi ad un Altro, resta chiuso nelle certezze che gli vengono dai suoi beni , non scommette sull'imprevisto. A noi resta la provocazione fatta a Pietro: il centuplo quaggiù e la vita eterna. Una provocazione da accettare anche perchè, personalmente, non vedo altra ipotesi così corrispondente a ciò che cerco.
sabato 3 ottobre 2009
Domenica 4 ottobre 2009
+ Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla». Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto». A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro.
Parola del Signore.
Nessuna parola è più lontana dalla sensibilità dell'uomo contemporaneo come quella che pronuncia oggi Gesù. Ma dobbiamo riconoscere che questa parola purtroppo è lontana anche da chi si professa cristiano. Le nozze, lungi dall'essere concepite come una vocazione che nascendo da Cristo, ha come senso ultimo la testimonianza di come il Signore ama la sua chiesa, sono divenute "matrimonio". Il matrimonio, così come il patrimonio, sono parole che hanno una origine latina e dicono il munus, cioè il diritto della madre o del padre. Le nozze cristiane non dicono il diritto di nessuno ma testimoniano il dilatarsi di quell'esperienza dell'amore che ha in Cristo la sua origine. Come il sacerdozio, come la vita consacrata, così l'unione dell'uomo e della donna è l'esito di un amore che, riversato in modo sovrabbondante nel cuore del singolo, chiede, urge di comunicarsi, esplode in mille e mille direzioni, investendo della sua soavità tutto ciò che incontra nella sua traiettoria. Ho sempre ripetuto agli sposi che chiedevano di fare con me un cammino di preparazione al sacramento delle nozze che loro primo compito era quello di richiamare immediatamente a Cristo, possibilmente senza scandalo. Così come quando si vede per strada un prete, una suora, un frate si è richiamati a Cristo, anche per gli sposi cristiani dovrebbe valere la stessa cosa. Forse secoli di clericalismo hanno depauperato questo sacramento, ne hanno svilito la portata profetica e santificante. E' giunto il momento di riprendere sul serio la teologia delle nozze così come è suggerita dalla Sacra Scrittura affinchè la dignità del laicato possa finalmente esplodere con tutta la sua potenzialità all'interno della chiesa di Cristo.
venerdì 2 ottobre 2009
LETTERA
QUANTO VALE IL LEGAME CREATO DAL BATTESIMO?
Caro Direttore, da sempre ho creduto che il legame che si stabilisce tra le persone mediante il sacramento del Battesimo sia di gran lunga superiore ad ogni altro legame. I legami naturali o di sangue, ad esempio quelli con la propria famiglia, il proprio paese, sono imposti dalla vita. Altri legami invece si scelgono: gli amici, il marito, la moglie. Il legame che si instaura attraverso il Battesimo supera sia l’uno che l’altro, non è propriamente un legame naturale ma non è neanche un legame scelto, possiamo dire che come già Paolo VI diceva della Chiesa è un legame «sui generis». Ci lasciamo liberamente abbracciare da un amore che ci precede e che scegliamo come fondamento della nostra vita e del suo senso ultimo e definitivo. Ed ecco superati tutti gli ostacoli di nazionalità, di sesso, di condizione sociale, di colore, nel battesimo tutti siamo inseriti in quell’unico Corpo di Cristo che è la Chiesa, per cui la gioia di uno dei suoi membri diventa per tutti così come il dolore di uno diventa il dolore di tutti. Questa ultima cosa ce l’ha ripetuta benissimo ed in maniera chiara il papa nel suo discorso a L’Aquila, durante l’incontro con le popolazioni colpite dal terremoto. Alla luce di tutto questo mi risulta difficile capire come possano alcuni giornalisti, da buoni cristiani quali dicono di essere, collaborare alle aggressione portate nei confronti della Chiesa e dei suoi uomini. Mi riferisco al caso Boffo, che poi tanto «caso» non è, ma è persona con cuore, sentimenti, professionalità e una storia che chiedono rispetto, al vero o presunto gelo tra governo e Vaticano e altre strumentalizzazioni assortite. Legittime sono le diversità di opinioni e valutazioni, ma la comunione che nasce dalla Croce di Cristo quella no, non si può svendere mai.
don Bruno Tarantino L’Aquila
QUANTO VALE IL LEGAME CREATO DAL BATTESIMO?
Caro Direttore, da sempre ho creduto che il legame che si stabilisce tra le persone mediante il sacramento del Battesimo sia di gran lunga superiore ad ogni altro legame. I legami naturali o di sangue, ad esempio quelli con la propria famiglia, il proprio paese, sono imposti dalla vita. Altri legami invece si scelgono: gli amici, il marito, la moglie. Il legame che si instaura attraverso il Battesimo supera sia l’uno che l’altro, non è propriamente un legame naturale ma non è neanche un legame scelto, possiamo dire che come già Paolo VI diceva della Chiesa è un legame «sui generis». Ci lasciamo liberamente abbracciare da un amore che ci precede e che scegliamo come fondamento della nostra vita e del suo senso ultimo e definitivo. Ed ecco superati tutti gli ostacoli di nazionalità, di sesso, di condizione sociale, di colore, nel battesimo tutti siamo inseriti in quell’unico Corpo di Cristo che è la Chiesa, per cui la gioia di uno dei suoi membri diventa per tutti così come il dolore di uno diventa il dolore di tutti. Questa ultima cosa ce l’ha ripetuta benissimo ed in maniera chiara il papa nel suo discorso a L’Aquila, durante l’incontro con le popolazioni colpite dal terremoto. Alla luce di tutto questo mi risulta difficile capire come possano alcuni giornalisti, da buoni cristiani quali dicono di essere, collaborare alle aggressione portate nei confronti della Chiesa e dei suoi uomini. Mi riferisco al caso Boffo, che poi tanto «caso» non è, ma è persona con cuore, sentimenti, professionalità e una storia che chiedono rispetto, al vero o presunto gelo tra governo e Vaticano e altre strumentalizzazioni assortite. Legittime sono le diversità di opinioni e valutazioni, ma la comunione che nasce dalla Croce di Cristo quella no, non si può svendere mai.
don Bruno Tarantino L’Aquila
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