LETTERA PUBBLICATA SU AVVENIRE DI DOMENICA 25 OTTOBRE 2009
L’Aquila: per Messe non più sotto le tende.
Caro Direttore, vorrei segnalarle una situazione che si va facendo ogni giorno più grave: la condizione dei preti dell’Aquila e delle zone terremotate d’Abruzzo. È noto ormai l’impegno a smantellare prima possibile tutte le tendopoli, cercando sistemazioni più adeguate per i terremotati, con l’arrivo prematuro del freddo invernale che, posso assicurarlo, in una città come l’Aquila non è uno scherzo. È noto, inoltre, che i nuclei familiari più numerosi troveranno alloggio nelle abitazioni temporanee costruite rapidamente in questi mesi, alcune delle quali sono già state consegnate. Non è noto, purtroppo, che almeno la metà degli aquilani non troverà sistemazione in quegli alloggi e tra queste persone vi sono tutti, ma proprio tutti, i sacerdoti dell’Aquila. Il motivo risiede nel fatto che gli alloggi vengono assegnati in base al numero dei componenti il nucleo familiare, e dunque tutte le persone singole e i nuclei di due e anche tre persone restano esclusi. Per queste persone vengono adottate soluzioni come case in affitto o alberghi in altre città (Sulmona, Avezzano, Pescara ecc). Va da sé che un sacerdote che debba celebrare anche solo due sante Messe deve viaggiare tutti i giorni verso L’Aquila, ma questo sarebbe un problema di poco conto se non fosse che una volta giunto in città quel sacerdote non ha un posto dove stare né soprattutto dove celebrarla, la Messa. Con lo smantellamento delle tendopoli, infatti, si stanno smantellando anche le uniche «chiese» funzionali, cioè le tende. Mi è capitato la scorsa domenica di girovagare per le tendopoli rimaste, in cerca di una Messa, e l’ho trovata dopo molto solo perché un sacerdote esacerbato aveva impedito lo smantellamento di una tenda-chiesa «occupandola», perché doveva celebrare un Battesimo e non sapeva dove altro andare. Nessuna struttura sostitutiva, da adibire a chiesa, si sta realizzando. E se qualcosa è stato previsto è ancora tutto sulla carta, mentre le tendopoli saranno smantellate completamente entro pochi giorni. Vorrei segnalare che dopo il 6 aprile solo tre chiese sono rimaste agibili in tutta una città che conta 70 mila residenti. È evidente che in questo modo si lacera il tessuto sociale di una comunità e soprattutto si fa mancare una importantissima forma di assistenza, quella spirituale. Non si può lasciare una città così grande senza preti, senza chiese, senza luoghi di aggregazione: è come dire di volerla lasciare senza Dio. Così quel Dio che la scorsa domenica ho visto farsi pane sotto una tenda di fortuna, mantenuta in piedi solo dal coraggio di un prete esasperato, viene scacciato perfino da quelle tende, viene scacciato come 2000 anni fa. Solo che a L’Aquila, purtroppo, non abbiamo più neanche una stalla dove poterlo ospitare.
Un caro saluto.
Alessia Pelini
Premetto che non conosco la signora Pelini ma ho provato un certo piacere nel leggere la sua lettera (che riporto sopra) sull'Avvenire di domenica 25 ottobre u.s.
Sono mesi, ed esattamente da quando ho letto i criteri proposti dal comune di L'Aquila per l'assegnazione degli alloggi ed in generale per tutto quel che riguarda il progetto C.A.S.E., che evidenzio come di fatto non sono stati cacciati solo i preti dalla città ma addirittura Dio stesso è stato di fatto estromesso dalla vita delle persone. Eppure nessuno di noi è andato via, ma tutti e dico tutti, siamo rimasti sul campo, con enormi sacrifici, per assicurare la nostra vicinanza, umanamente povera ma portatrice di una grazia soprannaturale, a tutti i fratelli e le sorelle colpite dal terremoto.
Cosa accadrà quando a Bazzano o a Cese di Preturo o a Paganica 2, Sassa 3, Roio 4 e così via si sentirà la necessità di iniziare la catechesi dei fanciulli in preparazione ai Sacramenti? Come saranno festeggiate le feste patronali a cui il nostro popolo è tanto legato? E quando si dovrà fare un funerale o un matrimonio? Perché non si è pensato, non dico ad una chiesa vera e propria (con il nichilismo e l'anticlericalismo imperanti i borghesi ben pensanti avrebbero ottenuto le pubbliche scuse se non addirittura le dimissioni di Bertolaso) ma almeno ad una sala polifunzionale che all'occorrenza potesse fungere anche da sala della comunità. Allora i cittadini troveranno facile sparare sulla croce rossa (alias sul prete che non c'è) perchè è sempre più facile colpire chi sta in trincea e non coloro che siedono in comode poltrone, dietro scrivanie lontane anni luce dalla vita della persone. Dare una casa non vuol dire mettere sotto un tetto una persona (sarebbero comodi loculi e nulla di più) ma vuol dire creare una serie di possibili relazioni tra i soggetti in modo da permettere una vita dignitosa e sociale. Al momento purtroppo nessuno sembra accorgersene, si sta riducendo tutto ad economia, burocrazia, carte da compilare e soldi da ricevere. Ma quando questa politica si dimostrerà incapace a risolvere il problema dell'uomo allora ho paura si di un esodo apocalittico dalla città. Amici aquilani non credete a chi promette le C.A.S.E. come situazione provvisoria, li dovremo trascorrere molti anni della vita, alcuni li nasceranno, molti li moriranno senza più rientrare alle loro abitazioni. Non accontetiamoci di sopravvivere alla meno peggio in attesa di tempi migliori, rischiamo di morire delusi, ma trasformiamo questo tempo che ci vien dato nel tempo migliore da vivere. Per quanto mi riguarda voglio essere protagonista della mia vita e non un numero in un elenco di assistiti. Facciamo in modo che L'Aquila non diventi un grande R.S.A. (Ricovero sanitario assistito, alias ospizio) ma nascendo secondo le esigenze vere dell'uomo possa essere modello per uno sviluppo umanamente sostenibile e fruttuoso.
Una società senza Dio è destinata alla violenza ed al sopruso del più forte, del più scaltro, del più furbo che quasi sempre coincide con il più cretino. Volare alto potrebbe essere il nuovo imperativo categorico di questa nostra fase di vita.
martedì 27 ottobre 2009
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