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giovedì 24 dicembre 2009

Finalmente...



Si... finalmente. Finalmente leggo, in un articolo di Avvenire di oggi, qualcosa che pur serpeggiando nell'aria e nel cuore di molti, non veniva mai espressa. Mi riferisco all'articolo su Giustino e sul suo modo di partecipare alla liturgia in generale e a quelle di questi giorni in particolare. Dopo tanti proclami, dopo tante crociate, dopo tante entusiastiche iniziative, tante promesse, tante più o meno false notizie, corsi della città riaperti, chiese agibili, bar del centro e vinerie affollate e le varie "L'Aquila Vola"... finalmente Giustino da voce ad un sentimento che tiene conto non delle intenzioni più o meno future ma del cuore sempre presente.
Riconosce anzitutto che questo sarà il natale più brutto della sua vita, nonostante la casa nuova, nonostante la chiesa nuova, nonostante una comunità non dispersa come la mia tra case, caserme, alberghi, mari e monti, nonostante Collemaggio come sede della messa di mezzanotte con ben due vescovi, nonostante il fatto d'aver avuto salva la sua vita... nonostante tutto sarà un brutto natale. Ci vuole poco a riconoscerlo, non è necessario uno sforzo depressivo, basta fermarsi un attimo e guardare alla propria umanità. Per nessun aquilano potrà essere un bel natale a meno che non si sia sostituito il cuore con una ideologia festaiola e banale.
Giustino chiama la sua partecipazione alla messa "uno sciopero", partecipa scioperando... «Ho continuato a chiedere perché. Perché mi sono stati strappati i miei figli, perché mio padre? E mi sono sentito come un operaio che lavora in un’azienda per tanti anni, e poi all’improvviso viene lasciato a casa, e decide di protestare, di scioperare anche, non perché voglia male al suo datore di lavoro, ma per fargli capire quanto è importante per lui lavorare, quanto si sente trattato ingiustamente». Lo 'sciopero' di Giustino, la prova immensa del Credo: lui non ha urlato al cielo, non ha smesso di andare in chiesa, non ha tolto la bella statua della Madonna di Lourdes dallo scaffale in cucina. Lui c’è. Ogni domenica, accanto a don Cesare e ai suoi compaesani. Sta lì. «Non faccio nulla, non partecipo alle celebrazioni come gli altri anni. Ma devo starci – continua – perché so che arriverà una risposta, prima o poi, so che vedrò il segnale, e capirò». Come un mendicante con il suo cappello rovesciato alla porta della chiesa che pur non chiedendo nulla con la voce mendica con la sua stessa presenza, con il suo stesso esserci. Grazie Giustino perchè avendo preso a cuore il tuo essere uomo e quindi bisognoso di trovare un senso alle cose e agli accadimenti, hai ridato vita ai tanti tristi di questo natale, cominciavamo a sentirci un po' fuori posto in mezzo a questo falso ottimismo ma forse che il vero natale non è un bambino e due giovani fidanzati che rischiano di morire dal freddo in mezzo ad una folla entusiasta per un censimento voluto dal potente di turno? Beato chi è chiamato a partecipare di quello stesso freddo perché, come ai pastori, una risposta arriverà, prima o poi, vedremo il segnale e capiremo.

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