Dopo averci a lungo avvisati della tua venuta, dopo l’invito ad essere desti, svegli, attenti ai segni ecco che ci chiami ancora una volta nel cuore della notte. La voce del tuo angelo ci ha raggiunti anche quest’anno e noi abbiamo lasciato le nostre greggi, i nostri interessi, il nostro lavoro, le nostre quotidiane occupazione per correre verso la mangiatoia dove tu, bambino, offri a noi, adulti, il vero volto di Dio. Un Dio sconvolgente, diverso da come ce lo saremmo aspettato. Un Dio che ama al di là di ogni ragionevole limite, un Dio che recupera chi è ritenuto irrimediabilmente perduto. A volte sai Gesù, il tuo Dio mi da fastidio, questo Dio che tutti ama, che tutti attende, che a tutti si offre. A volte sarebbe meglio un po’ più di fermezza… ma poi mi guardo e scopro che se così non fosse quale speranza potrebbe esserci per me? Quando scopro la mia poca capacità d’amare, quando mi scopro pastore solitario nelle lunghe notti in cui non sono che guardiano di bestie, Tu sei la sorgente dell’amore. Quando non attendo più nulla e le mie giornate diventano monotone e scontate, e mi scopro pastore sedentario chiuso nella conta delle mie cose, Tu mi indichi una nuova meta e metti dentro di me nostalgie di novità. Quando scopro il mio egoismo, pastore che non condivide il desco perché chissà se poi domani ci sarà qualcosa o qualcuno per me, tu mi dici che un volto amico è meglio di una pancia piena. Donaci di capire che la nostra crisi economica non è diversa da quella che hai vissuto tu. Facci capire che non possiamo chiuderci in noi stessi soltanto perché lo spread va verso l’alto. Donaci di capire che il vero spread che dobbiamo combattere è la distanza tra la manifestazione di un bisogno e il tentativo di risposta ad esso. Se la benzina aumenta ed un pieno ci costa troppo allora forse è giunto il momento di finirla con questo vagabondaggio, con questa perenne fuga da noi stessi verso luoghi sempre diversi ed estranei, e condividere una bella passeggiata a piedi con l’amico del cuore, un caffè con il nostro vicino, una partita a carte con i nostri anziani. Momenti semplici di condivisione ma in grado di far nascere un nuovo modo di stare insieme. Se la casa è gravata dall’IMU, dal mutuo, dalla ricostruzione allora facci ricordare di chi una casa non ce l’ha più, e allora, pur a denti stretti, nascerà un ringraziamento alla vita e al destino e il nostro quartiere non sarà più l’insieme di villette dalle alte siepi protettive ma luoghi aperti all’accoglienza e alla condivisione. Ed infine facci capire che non è vero che a Natale si può fare di più e a Natale si può dare di più perché Natale non è un momento privilegiato dell’anno ma è uno stile di vita. Natale non è un giorno ma ogni giorno è Natale se solo siamo aperti alla voce del tuo angelo che continua ripetere: Non temere, ti annuncio una grande gioia… E noi, pronti sempre a partire e cercarTi e trovarTi, Tu il Dio di sempre eppure perennemente nuovo.
Amen
domenica 25 dicembre 2011
lunedì 14 novembre 2011
Più cuore in quelle mani...
Dal Vangelo secondo Matteo:
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».
Il grande rischio, quando si cerca di commentare brani della Scrittura così noti, è quello di cadere nella banalità, nel già detto. Personalmente quando leggo un passo del vangelo cerco di rendermi presente all’evento o di rendere presente l’evento alla mia realtà. Proprio in questo tentativo la mia memoria mi ha fatto un bel regalo, una canzone che bene descrive cosa accade alla persona che non si sente valorizzata, a cui non si da fiducia. Vi prego di ascoltarla, se ne avete occasione, si tratta del brano “Sei bellissima” di Loredana Bertè. «… e poi mi diceva sempre non vali che un po' più di niente io mi vestivo di ricordi per affrontare il presente…». Viviamo in un mondo dove continuamente ci viene detto che non valiamo nulla. I nostri giovani girano depressi in cerca di un loro futuro e di una loro identità; a livello politico le nostre voci restano inascoltate, basta guardare alla nostra piccola realtà aquilana e alla fatica disumana per tentare di ottenere una dilazione della tasse; a livello economico i giochi veri sono fatti da multinazionali e banche lontane, inaccessibili; il commercio ci bombarda continuamente con messaggi subdoli che tentano di fondare la nostra identità sull’avere e sull’apparire. Tutto cospira contro di noi e veramente siamo tentati di sotterrare quell’unico talento che sentiamo esser nostro, quel talento che, da possibilità data, diventa rischio. Questa la vera vittoria del potere, questa è la sconfitta definitiva del Regno in noi: quando inizia ad abitare dentro la certezza che valiamo poco più di niente. Quando la paura diventa il criterio con cui facciamo le cose allora l’esito è il fallimento. Eppure Cristo continua a dire alla nostra vita, attraverso il dono dei talenti, “Sei bellissima”, hai ancora e di nuovo la possibilità di realizzarti, non devi fare altro che mettere in gioco ciò che hai, mettere in circolo la voglia di essere e di intensamente vivere. O, come diceva san Camillo de Lellis: “Più cuore in quelle mani”. Sì: meno calcolo e più cuore.
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».
Il grande rischio, quando si cerca di commentare brani della Scrittura così noti, è quello di cadere nella banalità, nel già detto. Personalmente quando leggo un passo del vangelo cerco di rendermi presente all’evento o di rendere presente l’evento alla mia realtà. Proprio in questo tentativo la mia memoria mi ha fatto un bel regalo, una canzone che bene descrive cosa accade alla persona che non si sente valorizzata, a cui non si da fiducia. Vi prego di ascoltarla, se ne avete occasione, si tratta del brano “Sei bellissima” di Loredana Bertè. «… e poi mi diceva sempre non vali che un po' più di niente io mi vestivo di ricordi per affrontare il presente…». Viviamo in un mondo dove continuamente ci viene detto che non valiamo nulla. I nostri giovani girano depressi in cerca di un loro futuro e di una loro identità; a livello politico le nostre voci restano inascoltate, basta guardare alla nostra piccola realtà aquilana e alla fatica disumana per tentare di ottenere una dilazione della tasse; a livello economico i giochi veri sono fatti da multinazionali e banche lontane, inaccessibili; il commercio ci bombarda continuamente con messaggi subdoli che tentano di fondare la nostra identità sull’avere e sull’apparire. Tutto cospira contro di noi e veramente siamo tentati di sotterrare quell’unico talento che sentiamo esser nostro, quel talento che, da possibilità data, diventa rischio. Questa la vera vittoria del potere, questa è la sconfitta definitiva del Regno in noi: quando inizia ad abitare dentro la certezza che valiamo poco più di niente. Quando la paura diventa il criterio con cui facciamo le cose allora l’esito è il fallimento. Eppure Cristo continua a dire alla nostra vita, attraverso il dono dei talenti, “Sei bellissima”, hai ancora e di nuovo la possibilità di realizzarti, non devi fare altro che mettere in gioco ciò che hai, mettere in circolo la voglia di essere e di intensamente vivere. O, come diceva san Camillo de Lellis: “Più cuore in quelle mani”. Sì: meno calcolo e più cuore.
domenica 30 ottobre 2011
Fai quel che il prete dice…?
Dal Vangelo secondo Matteo (23,1-12)
In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».
In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».
Religione è sempre una parola ambigua, pericolosa. Trova la sua radice nel verbo legare, anche questo affascinante e pericoloso. Legare infatti vuol dire imprigionare, privare della libertà, costringere. Si lega un animale pericoloso, si lega, attraverso le manette, un uomo violento. Si legano la coscienza e la vita, purtroppo, anche con l’uso o forse l’abuso, di precetti e dogmi. Un rischio sempre presente non solo all’interno del mondo ebraico ma anche all’interno delle nostre chiese e delle nostre comunità. Si lega un uomo quando gli si antepone la norma, la morale, il “dover fare” prima dell’”essere”. Ma legare vuol dire anche stringere rapporti, dice la nascita di empatie ed amori. L’amato si lega all’amata perché è la sua possibilità di vita piena. Il Figlio si lega alla madre e al padre per una naturale dipendenza in grado di spalancarlo alla piena libertà. Un uomo si lega ad un posto perché lì vivono i suoi ricordi, il suo passato, il suo presente ed il suo futuro. Pavese scriveva: «Un paese ci vuole, non fosse altro che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti», e A. de Saint Exupéry nel suo capolavoro “Il piccolo principe” fa dire alla volpe che «addomesticare vuol dire creare dei legami». Le parole hanno una loro vita, non solo dicono la realtà ma a volte la creano, sbagliare parola vuol dire spesso creare o compromettere per sempre un rapporto. Ricordo nella mia adolescenza un’esperienza di ricerca vocazionale fatta presso un ordine religioso. Ci proposero di trascorrere alcuni giorni in un famoso noviziato d’Italia e appena arrivati ci presentarono il “padre maestro”. Accidenti, in un solo uomo la tradizione religiosa aveva unito tutto ciò che Gesù sconsigliava. Mi chiesi e forse chiesi come mai questa palese indifferenza alla Parola del Vangelo, non ricordo la risposta, segno questo che mi fa intuire come fosse stata evasiva e poco convincente. È necessario tornare continuamente alla sorgente della nostra fede, a Gesù, unico volto del Mistero, creare legami con Lui che non “guarda in faccia a nessuno” (cfr Mt 22,15 ss ) non perché sia indifferente ma solo perché preferisce guardare il cuore dell’uomo ed il suo bisogno, che mai può essere colmato da una nostra religiosità, da un nostro impegno moralistico. Gesù oggi mette in guardia la sua chiesa proprio da questa ambiguità: non vuole religiosi che dimentichino l’uomo ma fratelli capaci di condividere, di portare i pesi gli uni degli altri, di farsi servi gli uni degli altri. Solo così la nostra religione, sempre tentata dal misurare il rapporto con Dio dalla larghezza dei filattèri, dalla lunghezza delle frange, dal barocchismo dei titoli, farà il salto di qualità, approdando a quella fede capace di guardare al cuore dell’uomo ed allargarne gli orizzonti per gustare l’Infinito tra le pieghe della ferialità.
giovedì 20 ottobre 2011
Quando la morale diventa perbenismo...
Stiamo assistendo ad una campagna mediatica che cerca di screditare l'opera e la presenza della chiesa. Questo a tutti i livelli, quindi anche a livello diocesano. Prendendo a pretesto una tentata truffa, nella quale i nostri vescovi sono parte offesa (e con loro l'intera chiesa cha va dal metropolita all'ultimo battezzato di Poggio Cancelli), si getta il sospetto su tutto e su tutti. E si scopre che i primi a girare le spalle come al solito sono i cortigiani, siano essi politici, affaristi, ecclesiatici, tecnici e quant'altro. In questo marasma generale c'è una cosa che non capisco ed una che non accetto.
Non capisco come si possa esultare per questa tentata truffa ai danni della fondazione guidata dai nostri vescovi. Invece di prendercela con chi ha messo in piedi questo tentativo ce la prendiamo con chi, all'oscuro di trame e intrighi di potere, cercava di orientare verso progetti qualificati e qualificanti il lavoro e le risorse disponibili. Non sono i nostri vescovi ad aver perso progetti personali ma tutti noi, tutto il territorio del cratere, che si vede ancora una volta depauperato della speranza. Tentando di prendere in giro i vescovi si è tentato di prendere in giro l'intera chiesa dell'Aquila e l'intero territorio. E questo invece di farci fare corpo unico contro il malaffare che cosa produce? Ulteriori divisioni tra noi, gente perbene. Tutti dentro al Colosseo, bestie feroci a scannarci ed azzannarci gli uni gli altri per far godere l'imperatore (qualche copia in più di quotidiano venduto in edicola e piccoli trafiletti su facebook) Mi sembra proprio un bel paradosso. E forse con questo intervento anch'io scendo a far parte dello spettacolo. Questo è ciò che non capisco.
Ma c'è un aspetto che non accetto. E' quando il criterio di giudizio di noi cristiani (e soprattutto preti e quindi delle nostre comunità che nel bene e nel male ci seguono ancora) diventa il luogo comune, ciò che pensa la maggioranza, e non Gesù Cristo. Ve lo immaginate Cristo che chiede le dimissioni a Pietro perchè si è fatto infinocchiare nel cortile del tempio da una servetta qualsiasi? "Ora Pietro prenditi le tue responsabilità e decidi di conseguenza" non sono parole che Cristo ha usato. "Mi ami tu?" su questa domanda dobbiamo mettere alla prova anzitutto noi, le nostre scelte, le nostre comunità e, perché no, i nostri vescovi. Finchè un vescovo, con la vita, risponde "si" a questa domanda, ogni nostra dietrologia politically correct non ha spazi di anarchica libertà. E la mia non è una visione medievale dell'autorità, nè clericalsimo malato di vescovite, chi mi conosce sa la mia allergia a queste forme. No, è solo un tentativo di usare la ragione secondo un fattore che la trascende: Guardare tutto con gli occhi di Dio.
Non capisco come si possa esultare per questa tentata truffa ai danni della fondazione guidata dai nostri vescovi. Invece di prendercela con chi ha messo in piedi questo tentativo ce la prendiamo con chi, all'oscuro di trame e intrighi di potere, cercava di orientare verso progetti qualificati e qualificanti il lavoro e le risorse disponibili. Non sono i nostri vescovi ad aver perso progetti personali ma tutti noi, tutto il territorio del cratere, che si vede ancora una volta depauperato della speranza. Tentando di prendere in giro i vescovi si è tentato di prendere in giro l'intera chiesa dell'Aquila e l'intero territorio. E questo invece di farci fare corpo unico contro il malaffare che cosa produce? Ulteriori divisioni tra noi, gente perbene. Tutti dentro al Colosseo, bestie feroci a scannarci ed azzannarci gli uni gli altri per far godere l'imperatore (qualche copia in più di quotidiano venduto in edicola e piccoli trafiletti su facebook) Mi sembra proprio un bel paradosso. E forse con questo intervento anch'io scendo a far parte dello spettacolo. Questo è ciò che non capisco.
Ma c'è un aspetto che non accetto. E' quando il criterio di giudizio di noi cristiani (e soprattutto preti e quindi delle nostre comunità che nel bene e nel male ci seguono ancora) diventa il luogo comune, ciò che pensa la maggioranza, e non Gesù Cristo. Ve lo immaginate Cristo che chiede le dimissioni a Pietro perchè si è fatto infinocchiare nel cortile del tempio da una servetta qualsiasi? "Ora Pietro prenditi le tue responsabilità e decidi di conseguenza" non sono parole che Cristo ha usato. "Mi ami tu?" su questa domanda dobbiamo mettere alla prova anzitutto noi, le nostre scelte, le nostre comunità e, perché no, i nostri vescovi. Finchè un vescovo, con la vita, risponde "si" a questa domanda, ogni nostra dietrologia politically correct non ha spazi di anarchica libertà. E la mia non è una visione medievale dell'autorità, nè clericalsimo malato di vescovite, chi mi conosce sa la mia allergia a queste forme. No, è solo un tentativo di usare la ragione secondo un fattore che la trascende: Guardare tutto con gli occhi di Dio.
domenica 16 ottobre 2011
+ Dal Vangelo secondo Matteo 22,15-21
In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi. Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».
Sono molteplici i motivi che possono spingere l’uomo a tentare l’incontro con Cristo. Alcuni nascono dall’esigenza di capire se veramente quell’uomo di Nazareth risponde alle mie più profonde domande, alla mia domanda di senso, di bellezza, di verità, di giustizia. L’uomo, che è vero con se stesso, non può non fare i conti con la grande pretesa di Gesù, quella di essere Dio e per questo l’unico in grado di rispondere esaustivamente alla mia umanità. Ma c’è anche la possibilità di approcciare Gesù con un pregiudizio ideologico, volendo dimostrare a tutti i costi che lui non è che uno dei tanti, uno che dice solo parole da salotto, incapace di intercettare e commuovere l’esistenza. La politica ha sempre un suo perché in questa strategia. Nel brano del vangelo di oggi farisei ed erodiani, due gruppi che si odiavano ed escludevano a vicenda, si coalizzano. Hanno finalmente un nemico in comune e nulla unisce più di una coalizione contro qualcuno. Scaltramente usano l’argomento politico-economico. Che cosa c’è infatti di più sensibile all’uomo di tutti i tempi se non le tasse da pagare e una politica da adulare per cercare di trarne il massimo vantaggio? Ed ecco la domanda trappola: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare? Loro sanno che qualunque risposta avesse dato Gesù lo avrebbe messo in cattiva luce. Se avesse difeso il tributo il popolo non lo avrebbe capito, se avesse difeso l’evasione il potere non gliela avrebbe fatta passare liscia. Ecco finalmente i nemici hanno vinto su di Lui, già nella domanda pregustano la vittoria. Gesù riporta invece il discorso ad un livello di molto superiore. È Lui ora a chiedere: A chi appartenete? A chi appartiene l’oggetto che mi state mostrando? Emerge da parte di Gesù una visione altra ed alta dell’uomo, della politica, della economia. Ed al contempo emerge da parte dei suoi interlocutori l’ottusità dei propri orizzonti. Loro, che volevano liberarsi dello strapotere romano, in realtà si faranno suoi servi e firmeranno questa loro decisione quando urleranno davanti a Pilato: Non abbiamo altro re all’infuori di Cesare (cfr Gv 19). Gesù non invita l’uomo ad una latitanza politica, non invita chi lo ascolta ad una sottomissione acritica alla finanza. Si fa politica, si fa economia, si costruisce una nuova socialità tenendo ben presente il punto essenziale: Tu a chi appartieni? In colui che riconosce di appartenere non al Cesare di turno ma al Padre che dà a tutti la vita ed il respiro ad ogni cosa (At 17,25b) accade ciò che Baglioni dice in un suo testo: Ora che ho te amo l'altra gente (da Ora che ho te nell’album Strada facendo). Allora il problema non è più se sia giusto o meno pagare il tributo ma il vero problema è quello di riconoscere ad ogni cosa la sua giusta appartenenza. Tu uomo a chi appartieni? A chi voti la tua vita, il tuo lavoro, la tua intelligenza, la tua passione, la tua speranza? Ecco la grandezza del brano evangelico di oggi. Non una schizofrenia tra fede e vita, tra impegno ed ascesi, tra Dio, io e mondo. Ma un’opera, una azione, una decisone, che nascano dalla consapevolezza della mia origine e del mio fine, e quindi dalla consapevolezza dell’origine e del fine di ogni uomo.
Sono molteplici i motivi che possono spingere l’uomo a tentare l’incontro con Cristo. Alcuni nascono dall’esigenza di capire se veramente quell’uomo di Nazareth risponde alle mie più profonde domande, alla mia domanda di senso, di bellezza, di verità, di giustizia. L’uomo, che è vero con se stesso, non può non fare i conti con la grande pretesa di Gesù, quella di essere Dio e per questo l’unico in grado di rispondere esaustivamente alla mia umanità. Ma c’è anche la possibilità di approcciare Gesù con un pregiudizio ideologico, volendo dimostrare a tutti i costi che lui non è che uno dei tanti, uno che dice solo parole da salotto, incapace di intercettare e commuovere l’esistenza. La politica ha sempre un suo perché in questa strategia. Nel brano del vangelo di oggi farisei ed erodiani, due gruppi che si odiavano ed escludevano a vicenda, si coalizzano. Hanno finalmente un nemico in comune e nulla unisce più di una coalizione contro qualcuno. Scaltramente usano l’argomento politico-economico. Che cosa c’è infatti di più sensibile all’uomo di tutti i tempi se non le tasse da pagare e una politica da adulare per cercare di trarne il massimo vantaggio? Ed ecco la domanda trappola: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare? Loro sanno che qualunque risposta avesse dato Gesù lo avrebbe messo in cattiva luce. Se avesse difeso il tributo il popolo non lo avrebbe capito, se avesse difeso l’evasione il potere non gliela avrebbe fatta passare liscia. Ecco finalmente i nemici hanno vinto su di Lui, già nella domanda pregustano la vittoria. Gesù riporta invece il discorso ad un livello di molto superiore. È Lui ora a chiedere: A chi appartenete? A chi appartiene l’oggetto che mi state mostrando? Emerge da parte di Gesù una visione altra ed alta dell’uomo, della politica, della economia. Ed al contempo emerge da parte dei suoi interlocutori l’ottusità dei propri orizzonti. Loro, che volevano liberarsi dello strapotere romano, in realtà si faranno suoi servi e firmeranno questa loro decisione quando urleranno davanti a Pilato: Non abbiamo altro re all’infuori di Cesare (cfr Gv 19). Gesù non invita l’uomo ad una latitanza politica, non invita chi lo ascolta ad una sottomissione acritica alla finanza. Si fa politica, si fa economia, si costruisce una nuova socialità tenendo ben presente il punto essenziale: Tu a chi appartieni? In colui che riconosce di appartenere non al Cesare di turno ma al Padre che dà a tutti la vita ed il respiro ad ogni cosa (At 17,25b) accade ciò che Baglioni dice in un suo testo: Ora che ho te amo l'altra gente (da Ora che ho te nell’album Strada facendo). Allora il problema non è più se sia giusto o meno pagare il tributo ma il vero problema è quello di riconoscere ad ogni cosa la sua giusta appartenenza. Tu uomo a chi appartieni? A chi voti la tua vita, il tuo lavoro, la tua intelligenza, la tua passione, la tua speranza? Ecco la grandezza del brano evangelico di oggi. Non una schizofrenia tra fede e vita, tra impegno ed ascesi, tra Dio, io e mondo. Ma un’opera, una azione, una decisone, che nascano dalla consapevolezza della mia origine e del mio fine, e quindi dalla consapevolezza dell’origine e del fine di ogni uomo.
mercoledì 12 ottobre 2011
La parola del vescovo ci basta. A lui la nostra solidarietà.
«Da diversi giorni prosegue la tempesta mediatica aquilana che mi vede indirettamente coinvolto pur essendo parte offesa, se i fatti saranno appurati nella loro verità. Quello che avevo da dire l'ho comunicato alla gente in Piazza Duomo e poi ai sacerdoti. Se oggi riprendo la parola è solo perché nell'odierna edizione del Centro, e nelle locandine, si attribuisce al sottoscritto una espressione volgare che mai mi sono permesso di pronunciare, avendo un rigetto fisico per tutto ciò che sa di triviale e di volgare. Del resto viene riferita da altri e non percepita dalla mia bocca: notizia questa di non poco conto.
Sin qui la mia precisazione; mi sia permesso ora aggiungere qualche ulteriore riflessione.Vorrei ringraziare i sacerdoti e la gente che continuamente mi esprime vicinanza e solidarietà in questo momento non facile e al quale non sono abituato, pur essendo uomo di comunicazione. Più di qualcuno mi manifesta il timore che questi attacchi siano rivolti alla mia persona nel tentativo di stancarmi e di portarmi ad abbandonare il campo. Io voglio pensare che così non sia. Ad ogni modo a tutti vorrei dire che quando si nutre la consapevolezza di aver compiuto il proprio dovere, occorre essere pronti a soffrire ma non a cedere, nella certezza che tutto rientra in un piano di salvezza e che Iddio sa trarre il bene anche dal male. Chi mi conosce sa che ogni giorno lavoro, al di là di quello che possa apparire da notizie frammentarie e talora imprecise, non per intrallazzare affari, ma con l'unico scopo di stare accanto alla gente e di aiutare e tutelare i deboli e i poveri come san Luigi Orione mi ha insegnato. Ma per amare concretamente bisogna essere disposti anche a rischiare di persona. Se poi sia incappato in cattivi compagni di viaggio e non abbia avuto la capacità di riconoscerli subito, questo dispiace certamente, e costituisce un invito concreto a maggiore prudenza. Questa lezione l'ho ben appresa, e mi servirà per l'avvenire.
Infine un'altra riflessione ancor più maturata nella preghiera di questi giorni. La ricostruzione più necessaria non è quella materiale delle case e delle chiese distrutte dal sisma, bensì quella umana, sociale e spirituale. So che la principale preoccupazione non dovrà essere ricostruire le mura e gli edifici sacri, ma ricostruire la speranza, la coesione e la fiducia nelle comunità. Del resto questo è il principale compito di ogni Pastore. Questa ricostruzione spirituale è già del resto iniziata e si va intensificando in questo tempo, partendo da Gesù realmente presente nel mistero eucaristico e da Maria, nostra celeste madre. Ad esempio, la piccola chiesa di Cansatessa, primo dono degli alpini del Trentito alla nostra città terremotata, è da più di un anno ormai centro di adorazione eucaristica perpetua. E' nel silenzio di questo luogo di ascolto e di meditazione che arde e si propaga la fiamma indistruttibile dell'amore divino, unica sorgente di speranza per dare vita a un mondo rinnovato. Sono certo che con il tempo incendierà di amore divino la città e sarà l'alba di un giorno nuovo. Per questo prego e tutto offro a Dio».
Al vescovo Giovanni tutto l'affetto e la solidarietà della parrocchia dei Santi Marciano e Nicandro in L'Aquila. Siamo certi che lui in questa vicenda è parte offesa. Preghiamo affinché possa continuare con immutato entusiasmo il suo impegno a favore di noi tutti e delle nostre comunità.
Sin qui la mia precisazione; mi sia permesso ora aggiungere qualche ulteriore riflessione.Vorrei ringraziare i sacerdoti e la gente che continuamente mi esprime vicinanza e solidarietà in questo momento non facile e al quale non sono abituato, pur essendo uomo di comunicazione. Più di qualcuno mi manifesta il timore che questi attacchi siano rivolti alla mia persona nel tentativo di stancarmi e di portarmi ad abbandonare il campo. Io voglio pensare che così non sia. Ad ogni modo a tutti vorrei dire che quando si nutre la consapevolezza di aver compiuto il proprio dovere, occorre essere pronti a soffrire ma non a cedere, nella certezza che tutto rientra in un piano di salvezza e che Iddio sa trarre il bene anche dal male. Chi mi conosce sa che ogni giorno lavoro, al di là di quello che possa apparire da notizie frammentarie e talora imprecise, non per intrallazzare affari, ma con l'unico scopo di stare accanto alla gente e di aiutare e tutelare i deboli e i poveri come san Luigi Orione mi ha insegnato. Ma per amare concretamente bisogna essere disposti anche a rischiare di persona. Se poi sia incappato in cattivi compagni di viaggio e non abbia avuto la capacità di riconoscerli subito, questo dispiace certamente, e costituisce un invito concreto a maggiore prudenza. Questa lezione l'ho ben appresa, e mi servirà per l'avvenire.
Infine un'altra riflessione ancor più maturata nella preghiera di questi giorni. La ricostruzione più necessaria non è quella materiale delle case e delle chiese distrutte dal sisma, bensì quella umana, sociale e spirituale. So che la principale preoccupazione non dovrà essere ricostruire le mura e gli edifici sacri, ma ricostruire la speranza, la coesione e la fiducia nelle comunità. Del resto questo è il principale compito di ogni Pastore. Questa ricostruzione spirituale è già del resto iniziata e si va intensificando in questo tempo, partendo da Gesù realmente presente nel mistero eucaristico e da Maria, nostra celeste madre. Ad esempio, la piccola chiesa di Cansatessa, primo dono degli alpini del Trentito alla nostra città terremotata, è da più di un anno ormai centro di adorazione eucaristica perpetua. E' nel silenzio di questo luogo di ascolto e di meditazione che arde e si propaga la fiamma indistruttibile dell'amore divino, unica sorgente di speranza per dare vita a un mondo rinnovato. Sono certo che con il tempo incendierà di amore divino la città e sarà l'alba di un giorno nuovo. Per questo prego e tutto offro a Dio».
Al vescovo Giovanni tutto l'affetto e la solidarietà della parrocchia dei Santi Marciano e Nicandro in L'Aquila. Siamo certi che lui in questa vicenda è parte offesa. Preghiamo affinché possa continuare con immutato entusiasmo il suo impegno a favore di noi tutti e delle nostre comunità.
domenica 25 settembre 2011
Il grande sorpasso.
+ Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».
Chi non rimane spiazzato di fronte a questa pagina del vangelo? Come si fa ad accettare una logica del genere? Eppure mai come in questa pagina Gesù parla in maniera chiara, tanto da rendere difficile il compito dell'omelia. Non c'è nulla da spiegare, non si avvertono passaggi esegetici difficili. Allora forse è più immediato il rimando alla vita. Dicevo stamattina alla mia comunità che il fatto di essere insieme, riuniti in assemblea, è il segno evidente che questa voce ci raggiunge ancora, invitandoci a lavorare nella vigna. Gesù, da buon conoscitore del profondo, sa che ognuno di noi è come costituito da due dimensioni: l'istinto e la ragione. Tutte e due le dimensioni sono un dono di Dio, nessuna delle due va censurata. Non sempre l'istinto è qualcosa di negativo e la ragione positiva, e viceversa. Tutto sta a come queste dimensioni costitutive dell'essere sono utilizzate. I due figli rispondono istintivamente al padre, è la risposta più naturale ma non la più umana. Tutti e due si accorgono di questo e decidono, nella propria libertà, una linea da seguire. La vigna altro non è che il Regno, cioè un popolo che avendo incontrato Cristo, si lascia abbracciare da Lui. Lavorare nella vigna allora vuol dire, in ultima analisi, lavorare per se stessi, lavorare per quel luogo che costituisce il mio spazio vitale. Lavorando in obbedienza al Padre in realtà costruiamo giorno per giorno un luogo bello per noi. La vigna ha bisogno di un lavoro feriale, paziente e costante. Non ha bisogno di gente che chiacchera su cosa sarebbe meglio fare, ma di persone disposte a potare, legare, coprire, vendemmiare, vigilare affinché grandinate improvvise e gelo, non danneggino il raccolto. Ognuno importante ed insostituibile nel suo ruolo. Ecco allora la prima domanda che fa emergere questo vangelo: cosa faccio io concretamente per questa vigna? Cosa sono disposto a mettere in gioco per la sua crescita? Aiuto questa crescita giorno per giorno, nella ferialità di un impegno spesso discreto ed invisibile ai più? Ho come l'impressione che, almeno nella nostra realtà ecclesiale, molti sedicenti cristiani pretendono i frutti del raccolto come se fossero dovuti per legge, senza impegnare la propria libertà in questo lavoro. Basta vedere quale è l'approccio della maggioranza ai sacramenti: io voglio sposarmi in chiesa e tu comunità mi devi dare ciò che chiedo. Il dono è diventato pretesa, la religione civile ha sostituito il cammino di fede. Circa l'affermazione di Gesù sulle prostitute e i pubblicani, che nel Regno dei Cieli riusciranno nel grande sorpasso sui sacerdoti e anziani del popolo, è grande il richiamo del papa nell'omelia di oggi in Germania, che ha affermato: "Tradotta nel linguaggio del nostro tempo, l’affermazione potrebbe suonare più o meno così: agnostici, che a motivo della questione su Dio non trovano pace; persone che soffrono a causa dei nostri peccati e hanno desiderio di un cuore puro, sono più vicini al Regno di Dio di quanto lo siano i fedeli di routine, che nella Chiesa vedono ormai soltanto l’apparato, senza che il loro cuore sia toccato dalla fede". Ecco individuata la radice del problema: un cuore toccato o meno dalla fede. Il resto è commento, vana chiacchera da parrucchiera o da salotto televisivo ( scusate ma ho come sottofondo canale cinque che da una buona mezz'ora parla di Marin, Pellegrino e Magnini e che ora propone uno stupido oroscopo circa questo amore andato a farsi benedire).
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».
Chi non rimane spiazzato di fronte a questa pagina del vangelo? Come si fa ad accettare una logica del genere? Eppure mai come in questa pagina Gesù parla in maniera chiara, tanto da rendere difficile il compito dell'omelia. Non c'è nulla da spiegare, non si avvertono passaggi esegetici difficili. Allora forse è più immediato il rimando alla vita. Dicevo stamattina alla mia comunità che il fatto di essere insieme, riuniti in assemblea, è il segno evidente che questa voce ci raggiunge ancora, invitandoci a lavorare nella vigna. Gesù, da buon conoscitore del profondo, sa che ognuno di noi è come costituito da due dimensioni: l'istinto e la ragione. Tutte e due le dimensioni sono un dono di Dio, nessuna delle due va censurata. Non sempre l'istinto è qualcosa di negativo e la ragione positiva, e viceversa. Tutto sta a come queste dimensioni costitutive dell'essere sono utilizzate. I due figli rispondono istintivamente al padre, è la risposta più naturale ma non la più umana. Tutti e due si accorgono di questo e decidono, nella propria libertà, una linea da seguire. La vigna altro non è che il Regno, cioè un popolo che avendo incontrato Cristo, si lascia abbracciare da Lui. Lavorare nella vigna allora vuol dire, in ultima analisi, lavorare per se stessi, lavorare per quel luogo che costituisce il mio spazio vitale. Lavorando in obbedienza al Padre in realtà costruiamo giorno per giorno un luogo bello per noi. La vigna ha bisogno di un lavoro feriale, paziente e costante. Non ha bisogno di gente che chiacchera su cosa sarebbe meglio fare, ma di persone disposte a potare, legare, coprire, vendemmiare, vigilare affinché grandinate improvvise e gelo, non danneggino il raccolto. Ognuno importante ed insostituibile nel suo ruolo. Ecco allora la prima domanda che fa emergere questo vangelo: cosa faccio io concretamente per questa vigna? Cosa sono disposto a mettere in gioco per la sua crescita? Aiuto questa crescita giorno per giorno, nella ferialità di un impegno spesso discreto ed invisibile ai più? Ho come l'impressione che, almeno nella nostra realtà ecclesiale, molti sedicenti cristiani pretendono i frutti del raccolto come se fossero dovuti per legge, senza impegnare la propria libertà in questo lavoro. Basta vedere quale è l'approccio della maggioranza ai sacramenti: io voglio sposarmi in chiesa e tu comunità mi devi dare ciò che chiedo. Il dono è diventato pretesa, la religione civile ha sostituito il cammino di fede. Circa l'affermazione di Gesù sulle prostitute e i pubblicani, che nel Regno dei Cieli riusciranno nel grande sorpasso sui sacerdoti e anziani del popolo, è grande il richiamo del papa nell'omelia di oggi in Germania, che ha affermato: "Tradotta nel linguaggio del nostro tempo, l’affermazione potrebbe suonare più o meno così: agnostici, che a motivo della questione su Dio non trovano pace; persone che soffrono a causa dei nostri peccati e hanno desiderio di un cuore puro, sono più vicini al Regno di Dio di quanto lo siano i fedeli di routine, che nella Chiesa vedono ormai soltanto l’apparato, senza che il loro cuore sia toccato dalla fede". Ecco individuata la radice del problema: un cuore toccato o meno dalla fede. Il resto è commento, vana chiacchera da parrucchiera o da salotto televisivo ( scusate ma ho come sottofondo canale cinque che da una buona mezz'ora parla di Marin, Pellegrino e Magnini e che ora propone uno stupido oroscopo circa questo amore andato a farsi benedire).
domenica 18 settembre 2011
Gesù: ovvero l'antiministro dell'economia.
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”.Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».
Straordinariamente attuale il vangelo di questa domenica di settembre. Siamo bombardati continuamente da previsioni catastrofiche circa la borsa, la finanza, il debito pubblico. Le manovre economiche si susseguono a distanza di pochi giorni, ma nulla sembra placare le fauci voraci di una economia sempre più mostruosa e disumana. Tra prelievi e condoni, tra aumento dell'IVA e privilegi degli intoccabili ecco che si inserisce Gesù con la sua strana visione delle cose. Un ministro dell'economia, Gesù, destinato a farsi fischiare dietro dai grandi della BCE, dal consesso degli illuminati e, forse, illuministi politici dei nostri giorni. Eppure la sua ricetta ha in se qualcosa di talmente sovversivo da stuzzicare la fantasia, non può non essere presa in considerazione se non altro per la sua apparente assurdità. Ovviamente Gesù qui parla di come funzionano le cose nel Regno dei Cieli e non a Palazzo Chigi, in piazza della Borsa o nelle sedi delle grandi multinazionali. Eppure noi sappiamo che il Regno dei Cieli non è una entità astratta, utopia, un tempo fuori dal tempo che forse verrà al di là della morte. No, anzi il Regno dei Cieli è qui, tra noi, e altro non è che un popolo che ha preso a cuore la prospettiva di Gesù. Il Regno dei Cieli è quella porzione di terra che vive la sua ferialità dentro la grande compagnia di Cristo, compagnia rinnovata e rinnovante, basta andare ai grandi monasteri da Benedetto sino ai nostri giorni per capire cosa vuol dire che il Regno di Dio è tra noi. Allora questa parabola ha da dire delle verità su come funzionano le cose e i rapporti dentro questo Regno.
Un Regno in cui non si da importanza alla quantità di lavoro, dove il dio non è la produzione ma l'uomo e il suo bisogno. Gesù non è ingiusto con chi ha lavorato di più, ma non può negare il necessario anche a chi non ha potuto lavorare dalla prima ora. Ogni uomo è anzitutto bisogno, ha bisogno di un talento per veder garantita la dignità della sua vita e di quella della sua famiglia. I figli dell'operaio dell'ultima ora hanno bisogno di pane e vestiti così come i figli dell'operaio della prima ora. Non a ciascuno secondo il merito ma a tutti secondo il bisogno. Giustamente forse ci scandalizziamo in questi giorni di una politica fatta di escort, di privilegi, di caste, ma forse dovremmo come cristiani scandalizzarci molto di più di questa studiata strategia per ridurre sempre più la classe media, una politica che ha come obiettivo quello di creare una distanza sempre più grande tra ricchi e poveri (dispiace che anche la sinistra più estrema non urli questa scomoda verità nelle piazze). Dovremmo, come cristiani, non stare a guardare sotto le lenzuola di maggioranza ed opposizione, ma guardare a tutte quelle decisioni che tolgono al povero per garantire il ricco e qui si essere severi nel giudizio. Perché se Dio opera in quel modo allora anche noi dobbiamo far nostro il suo metodo.
Dio, attraverso Gesù, ci ha detto che a Lui sta a cuore la classe media. Una politica che non imiti il cuore di Dio, anche se annovera tra i suoi esponenti sedicenti cattolici, è una politica iniqua ed ingiusta.
Ma resta sospesa come a mezz'aria la terribile domanda che Gesù pone alla fine della parabola: "Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?" Forse che tutte le ingiustizie, i soprusi, gli egoismi, l'accaparramento di ricchezze (qualcuno ricorderà le fodere dei divani di Poggiolini pieni di soldi) non hanno qui il loro punto sorgivo? Che cosa c'è di più evidente se non che, pur ricchi e potenti, alcuni hanno bisogno di amori a pagamento perché non riescono a sentirsi amati dall'Amore. Altro non sono che dei poveri disgraziati.
Straordinariamente attuale il vangelo di questa domenica di settembre. Siamo bombardati continuamente da previsioni catastrofiche circa la borsa, la finanza, il debito pubblico. Le manovre economiche si susseguono a distanza di pochi giorni, ma nulla sembra placare le fauci voraci di una economia sempre più mostruosa e disumana. Tra prelievi e condoni, tra aumento dell'IVA e privilegi degli intoccabili ecco che si inserisce Gesù con la sua strana visione delle cose. Un ministro dell'economia, Gesù, destinato a farsi fischiare dietro dai grandi della BCE, dal consesso degli illuminati e, forse, illuministi politici dei nostri giorni. Eppure la sua ricetta ha in se qualcosa di talmente sovversivo da stuzzicare la fantasia, non può non essere presa in considerazione se non altro per la sua apparente assurdità. Ovviamente Gesù qui parla di come funzionano le cose nel Regno dei Cieli e non a Palazzo Chigi, in piazza della Borsa o nelle sedi delle grandi multinazionali. Eppure noi sappiamo che il Regno dei Cieli non è una entità astratta, utopia, un tempo fuori dal tempo che forse verrà al di là della morte. No, anzi il Regno dei Cieli è qui, tra noi, e altro non è che un popolo che ha preso a cuore la prospettiva di Gesù. Il Regno dei Cieli è quella porzione di terra che vive la sua ferialità dentro la grande compagnia di Cristo, compagnia rinnovata e rinnovante, basta andare ai grandi monasteri da Benedetto sino ai nostri giorni per capire cosa vuol dire che il Regno di Dio è tra noi. Allora questa parabola ha da dire delle verità su come funzionano le cose e i rapporti dentro questo Regno.
Un Regno in cui non si da importanza alla quantità di lavoro, dove il dio non è la produzione ma l'uomo e il suo bisogno. Gesù non è ingiusto con chi ha lavorato di più, ma non può negare il necessario anche a chi non ha potuto lavorare dalla prima ora. Ogni uomo è anzitutto bisogno, ha bisogno di un talento per veder garantita la dignità della sua vita e di quella della sua famiglia. I figli dell'operaio dell'ultima ora hanno bisogno di pane e vestiti così come i figli dell'operaio della prima ora. Non a ciascuno secondo il merito ma a tutti secondo il bisogno. Giustamente forse ci scandalizziamo in questi giorni di una politica fatta di escort, di privilegi, di caste, ma forse dovremmo come cristiani scandalizzarci molto di più di questa studiata strategia per ridurre sempre più la classe media, una politica che ha come obiettivo quello di creare una distanza sempre più grande tra ricchi e poveri (dispiace che anche la sinistra più estrema non urli questa scomoda verità nelle piazze). Dovremmo, come cristiani, non stare a guardare sotto le lenzuola di maggioranza ed opposizione, ma guardare a tutte quelle decisioni che tolgono al povero per garantire il ricco e qui si essere severi nel giudizio. Perché se Dio opera in quel modo allora anche noi dobbiamo far nostro il suo metodo.
Dio, attraverso Gesù, ci ha detto che a Lui sta a cuore la classe media. Una politica che non imiti il cuore di Dio, anche se annovera tra i suoi esponenti sedicenti cattolici, è una politica iniqua ed ingiusta.
Ma resta sospesa come a mezz'aria la terribile domanda che Gesù pone alla fine della parabola: "Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?" Forse che tutte le ingiustizie, i soprusi, gli egoismi, l'accaparramento di ricchezze (qualcuno ricorderà le fodere dei divani di Poggiolini pieni di soldi) non hanno qui il loro punto sorgivo? Che cosa c'è di più evidente se non che, pur ricchi e potenti, alcuni hanno bisogno di amori a pagamento perché non riescono a sentirsi amati dall'Amore. Altro non sono che dei poveri disgraziati.
martedì 26 luglio 2011
CIAO GIO'.
"Più che rimpianti ho solo delle amarezze per il mio comportamento scandaloso o dissennato che per anni ho avuto. Adesso aspetto, finalmente in pace con me stessa, il mio incontro con Dio".
Ciao Giò,esattamente undici anni fa, 26 luglio 2000, condividevi con me la mia ordinazione diaconale.Oggi sei volata in paradiso, tra le braccia di Colui che hai sempre amato nei tanti rivoli degli amori della tua tormentata e bellissima esistenza.
La tua nostalgia di un luogo al quale da sempre appartieni ora è visione, lasci a noi, che ti abbiamo amata, la nostalgia di te.
Continua dal cielo ad implorare la Divina Misericordia cui ti eri votata.
Ciao Giò,esattamente undici anni fa, 26 luglio 2000, condividevi con me la mia ordinazione diaconale.Oggi sei volata in paradiso, tra le braccia di Colui che hai sempre amato nei tanti rivoli degli amori della tua tormentata e bellissima esistenza.
La tua nostalgia di un luogo al quale da sempre appartieni ora è visione, lasci a noi, che ti abbiamo amata, la nostalgia di te.
Continua dal cielo ad implorare la Divina Misericordia cui ti eri votata.
giovedì 21 luglio 2011
domenica 10 luglio 2011
Un Dio generoso.
La liturgia oggi ci propone, dal vangelo di Matteo, la parabola del seminatore. Una parabola pericolosa perché può indurre a due atteggiamenti, entrambi sbagliati.
Da un lato ci si può identificare con uno dei terreni non buoni, con i rovi e le pietre. Esito di questa identificazione sarà lo scoraggiamento. Cosa posso farci se il mio è un terreno poco accogliente, con poca terra, senz'acqua, pieno di rovi?
Dall'altro lato potremmo identificarci con il terreno buono, vantandoci della nostra rendita. Pensando agli altri sempre come terreni aridi ed infecondi e a noi cone terreni accoglienti e fruttuosi. Questo però potrebbe portarci al peccato di superbia.
Credo che la parabola vuole insegnarci anzitutto la larghezza di vedute del seminatore, la sua incredibile generosità che lo porta a buttare il seme anche la dove sa di non poter raccogliere. Ogni vita è oggetto della semina di Dio, non c'è situazione che possa impedire la sua generosità.
Siamo sotto lo sguardo ed il lavoro di un Dio generoso.
Dalla parte dell'uomo allora l'atteggiamento giusto è quello di capire quali terreni mi costituiscono. Non siamo dei robot senza cuore, ma degli essere con passioni e debolezze, con vizi e virtù. La nostra vita altro non è che l'insieme di tanti momenti e di tanti interessi: la famiglia, la parrocchia, il paese, il lavoro, l'economia, l'amore, i soldi, il tempo libero... Alcune di queste zone sono aperte alla Parola di Dio, la sua parola attecchisce, e produce frutto, altre invece non sono disponibili, rimangono come aride. A noi il compito di coltivare comunque il seme, di dargli la necessaria cura. Compito che può essere svolto solo con gratitudine, perché come si fa a non essere grati a Colui che punta anche sulle mie aridità con il rischio sicuro di perdere il prodotto. Anche le mie aridità sono dunque abitate da Colui che ha per sogno riportare il mondo a quel giardino originario dove Dio e l'uomo passeggiavano insieme nella brezza della sera.
Da un lato ci si può identificare con uno dei terreni non buoni, con i rovi e le pietre. Esito di questa identificazione sarà lo scoraggiamento. Cosa posso farci se il mio è un terreno poco accogliente, con poca terra, senz'acqua, pieno di rovi?
Dall'altro lato potremmo identificarci con il terreno buono, vantandoci della nostra rendita. Pensando agli altri sempre come terreni aridi ed infecondi e a noi cone terreni accoglienti e fruttuosi. Questo però potrebbe portarci al peccato di superbia.
Credo che la parabola vuole insegnarci anzitutto la larghezza di vedute del seminatore, la sua incredibile generosità che lo porta a buttare il seme anche la dove sa di non poter raccogliere. Ogni vita è oggetto della semina di Dio, non c'è situazione che possa impedire la sua generosità.
Siamo sotto lo sguardo ed il lavoro di un Dio generoso.
Dalla parte dell'uomo allora l'atteggiamento giusto è quello di capire quali terreni mi costituiscono. Non siamo dei robot senza cuore, ma degli essere con passioni e debolezze, con vizi e virtù. La nostra vita altro non è che l'insieme di tanti momenti e di tanti interessi: la famiglia, la parrocchia, il paese, il lavoro, l'economia, l'amore, i soldi, il tempo libero... Alcune di queste zone sono aperte alla Parola di Dio, la sua parola attecchisce, e produce frutto, altre invece non sono disponibili, rimangono come aride. A noi il compito di coltivare comunque il seme, di dargli la necessaria cura. Compito che può essere svolto solo con gratitudine, perché come si fa a non essere grati a Colui che punta anche sulle mie aridità con il rischio sicuro di perdere il prodotto. Anche le mie aridità sono dunque abitate da Colui che ha per sogno riportare il mondo a quel giardino originario dove Dio e l'uomo passeggiavano insieme nella brezza della sera.
lunedì 20 giugno 2011
Non ho trovato una immagine della Trinità che mi convincesse, opto per questa, anche se non corrisponde pienamente a ciò che sento. Mi piace di questa icona il senso di spazialità che crea, dice di come la Trinità non è tanto un Mistero da capire ma un evento da vivere. Noi figli del post-illuminismo, del post razionalismo, del post-modernismo e di tanti altri post siamo ormai incapaci di realtà. Tutto ridotto ad idea circa, tutto ridotto a salotto culturale, tutto ficcato nella nostra piccola mente. E invece la Trinità non si lascia ridurre ad idea, seppur bella ma sempre astratta. La Trinità è l'evento del rapporto di Dio che si comunica. La Trinità è il luogo vitale del mio esserci e dell'essere del mondo. Rende bene l'apostolo Paolo nel brano della 2° lettera ai Corinti, che la liturgia propone come seconda lettura per la festa della Trinità.
"Fratelli, siate gioiosi, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell’amore e della pace sarà con voi. Salutatevi a vicenda con il bacio santo. Tutti i santi vi salutano.La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi."
La Trinità è continuare nel tempo e nello spazio, nel mio tempo e nel mio spazio, l'esperienza intima di Dio. Essere nella gioia in un mondo triste e depresso, portare il sorriso di Dio là dove spesso i denti sono usati per mordere ed azzannare. Tendere alla perfezione, che non è un'idea astratta di santità irragiungibile ma sviluppo pieno delle mie potenzialità di uomo, in un mondo che gioca al ribasso, che riduce gli orizzonti, vivere la Trinità vuol dire desiderare di volare alto. Fatevi coraggio... che bello... fatevi coraggio. Mentre tutto ci dice: frega il prossimo, sorpassalo, byapassalo, uso lo sgambetto, denigralo. No. La Trinità vuol dire farsi coraggio. Basta guardare alle icone evangeliche dell'annuncio della nascita di Gesù e a quella della sua passione per capire cosa vuol dire farsi coraggio alla luce dell'esperienza trinitaria. Abbiate gli stessi sentimenti, no al menefreghismo, no ad una realizzazione solispsistica ma comunione di sentimenti, soffrire con chi è nel pianto, gioire con chi è nella gioia, perchè in famiglia funziona così per natura, tutto trasfigurato dalla preghiera di chi riconosce che ogni sentimento ha in Dio il suo alveo naturale. Vivete in pace... anzitutto con noi stessi, facciamo pace con noi stessi, noi che siamo sempre alla ricerca di un altrove per star meglio, facciamo pace con noi stessi, con le nostre fragilità, con i nostri drammi, con le nostre paure, con il nostro passato, con il nostro presente e con il nostro futuro, facciamo pace con i nostri peccati che altro non sono l'occasione di vivere la redenzione. E pacificati con noi stessi saremo in pace con chi ci circonda. Vivete in pace...
Tutto questo permetterà di scoprire che il Dio dell’amore e della pace è compagnia alla mia esistenza. Ed ecco capita la Trinità, come quando, dopo aver letto infiniti libri sull'amore finalmente incontro colui o colei che fa vibrare il mio cuore ed abita i miei desideri.
Non un dogma da credere ma una sfida per vivere.
"Fratelli, siate gioiosi, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell’amore e della pace sarà con voi. Salutatevi a vicenda con il bacio santo. Tutti i santi vi salutano.La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi."
La Trinità è continuare nel tempo e nello spazio, nel mio tempo e nel mio spazio, l'esperienza intima di Dio. Essere nella gioia in un mondo triste e depresso, portare il sorriso di Dio là dove spesso i denti sono usati per mordere ed azzannare. Tendere alla perfezione, che non è un'idea astratta di santità irragiungibile ma sviluppo pieno delle mie potenzialità di uomo, in un mondo che gioca al ribasso, che riduce gli orizzonti, vivere la Trinità vuol dire desiderare di volare alto. Fatevi coraggio... che bello... fatevi coraggio. Mentre tutto ci dice: frega il prossimo, sorpassalo, byapassalo, uso lo sgambetto, denigralo. No. La Trinità vuol dire farsi coraggio. Basta guardare alle icone evangeliche dell'annuncio della nascita di Gesù e a quella della sua passione per capire cosa vuol dire farsi coraggio alla luce dell'esperienza trinitaria. Abbiate gli stessi sentimenti, no al menefreghismo, no ad una realizzazione solispsistica ma comunione di sentimenti, soffrire con chi è nel pianto, gioire con chi è nella gioia, perchè in famiglia funziona così per natura, tutto trasfigurato dalla preghiera di chi riconosce che ogni sentimento ha in Dio il suo alveo naturale. Vivete in pace... anzitutto con noi stessi, facciamo pace con noi stessi, noi che siamo sempre alla ricerca di un altrove per star meglio, facciamo pace con noi stessi, con le nostre fragilità, con i nostri drammi, con le nostre paure, con il nostro passato, con il nostro presente e con il nostro futuro, facciamo pace con i nostri peccati che altro non sono l'occasione di vivere la redenzione. E pacificati con noi stessi saremo in pace con chi ci circonda. Vivete in pace...
Tutto questo permetterà di scoprire che il Dio dell’amore e della pace è compagnia alla mia esistenza. Ed ecco capita la Trinità, come quando, dopo aver letto infiniti libri sull'amore finalmente incontro colui o colei che fa vibrare il mio cuore ed abita i miei desideri.
Non un dogma da credere ma una sfida per vivere.
venerdì 17 giugno 2011
Una sottile linea rossa... e non zona rossa.
Ve lo ricordate?
Siamo a san Marciano e questo è il nostro tabernacolo, il luogo che conserva il pane eucaristico. Forse perché ci avviciniamo alla festa del Corpus Domini, forse per quell'inconscio collettivo che ci abita, forse solo per una coincidenza o meglio, come dice il mio amico Gabriele, per una Dioincidenza, sono incappato in questa foto che, insieme e poche altre, si è miracolosamente salvata nella piccola card della fotocamera, recuperata tra le macerie.
Ed il primo sentimento ovviamente è la nostalgia, "canaglia che ti prende proprio quando non vuoi" (Al Bano docet).
E giù a pensare: come erano belli quei tempi..., come si stava bene..., come era bella la nostra chiesa..., quanti progetti per e in essa... e bla bla bla...
Ma poi in fondo cosa veramente conta? La foglia oro di cui era ricoperto il nostro tabernacolo o gli occhi di chi a Lui guardava per dire semplicemente i contenuti del cuore: le ansie, le attese, i dubbi, le gioie e i dolori, il cammino, la sosta, o nulla, semplicemente dirGli nulla, stare in silenzio, assaporare un attimo di pace (noo, ... troppo clericale), un attimo di tregua; fermate il mondo.
Cari fratelli cristiani della comunità di san Marciano è vero siamo ancora dispersi per tutto il territorio, è difficle vedersi, il tempo intiepidisce i rapporti ma in Lui e davanti a Lui non c'è distanza che tenga. E' il Signore il luogo della nostra comunione.
Ed infine mi vengono alla mente le parole che san Francesco scrive nella sua lettera a tutto l'Ordine: "Grande miseria sarebbe, e miseranda meschinità se, avendo Lui cosi presente, vi curaste di qualunque altra cosa che esista in tutto il mondo".
P.S. E sempre per quelle felici Dioincidenze solo ora mi accorgo che oggi è la festa patronale della nostra parrocchia.
Siamo a san Marciano e questo è il nostro tabernacolo, il luogo che conserva il pane eucaristico. Forse perché ci avviciniamo alla festa del Corpus Domini, forse per quell'inconscio collettivo che ci abita, forse solo per una coincidenza o meglio, come dice il mio amico Gabriele, per una Dioincidenza, sono incappato in questa foto che, insieme e poche altre, si è miracolosamente salvata nella piccola card della fotocamera, recuperata tra le macerie.
Ed il primo sentimento ovviamente è la nostalgia, "canaglia che ti prende proprio quando non vuoi" (Al Bano docet).
E giù a pensare: come erano belli quei tempi..., come si stava bene..., come era bella la nostra chiesa..., quanti progetti per e in essa... e bla bla bla...
Ma poi in fondo cosa veramente conta? La foglia oro di cui era ricoperto il nostro tabernacolo o gli occhi di chi a Lui guardava per dire semplicemente i contenuti del cuore: le ansie, le attese, i dubbi, le gioie e i dolori, il cammino, la sosta, o nulla, semplicemente dirGli nulla, stare in silenzio, assaporare un attimo di pace (noo, ... troppo clericale), un attimo di tregua; fermate il mondo.
Cari fratelli cristiani della comunità di san Marciano è vero siamo ancora dispersi per tutto il territorio, è difficle vedersi, il tempo intiepidisce i rapporti ma in Lui e davanti a Lui non c'è distanza che tenga. E' il Signore il luogo della nostra comunione.
Ed infine mi vengono alla mente le parole che san Francesco scrive nella sua lettera a tutto l'Ordine: "Grande miseria sarebbe, e miseranda meschinità se, avendo Lui cosi presente, vi curaste di qualunque altra cosa che esista in tutto il mondo".
P.S. E sempre per quelle felici Dioincidenze solo ora mi accorgo che oggi è la festa patronale della nostra parrocchia.
lunedì 13 giugno 2011
Divieto di accesso
Ieri, al ridotto del teatro comunale, è stato presentato uno strano libro. Strano e bello. Un libro sul terremoto a L'Aquila... Un altro?!? Noooooo!
E invece ne è valsa proprio la pena. Anzitutto per gli autori.
Un libro corale, scritto a più mani da un piccolo gruppo scout, fatto di giovanissimi studenti e due maestri un po' più grandicelli, almeno d'età, ma l'emozione malcelata tradiva una latente sindrome da peter pan. La voce narrante stavolta non era quella dei terremotati ma quella dei volonatari. Gli occhi e lo sguardo non di chi non ha vissuto il dramma in diretta ma nella differita della disperazione e del non senso dei giorni immediatamente post-sisma, forse per questo più liberi ed obiettivi.
Un libro che aiuta noi terremotati a capire quali sentimenti emergevano nel dramma in corso, quali domande ci abitavano, quali desideri avevamo nel cuore. Posizione questa che il tempo sta rendendo seconda, presi ormai da una svogliatezza che tutto appanna e rende nebuloso.
Viviamo tra macerie a cui non facciamo più caso come se questo fosse la normalità.
Ci muoviamo tra strade deserte diventate orizzonte definitivo. E quando queste si animano è solo per il godimento di un attimo che può prendere nome di fiera di san Massimo (con il suo carico di shopping compulsivo) o di vasche tra i locali del centro (spesso in preda ai fumi dell'alcool, a rischio rissa, per sfogare ciò che lo sguardo e il cuore non possono sopportare).
Il volontariato è finito.
La politica ha illuso (almeno i più) e deluso (tutti indistintamente).
La chiesa sta tornando pian piano nelle sacrestie, seppur spesso virtuali per mancanza di strutture vere.
L'Aquila non aiuta le vendite e quindi i media non ne parlano. (Pensare che Bruno Vespa, aquilano doc, non ha ancora dedicato una puntata del suo programma al secondo anniversario del terremoto, mentre ne ha dedicate parecchie alle varie diete e al dramma. ormai incipiente, della prova costume).
E questi ragazzi, incoscienti, decidono di investire ancora su L'Aquila e sulla memoria. Credono in un progetto, sognano di poter ancora aiutare.
Quanto abbiamo ancora da imparare.
E a tutti gli amici che passeranno da questo post un invito. Incoraggiate il sogno di questi sette pazzi di utopia e comprate il loro libro.
Che è un gran bel libro.
venerdì 10 giugno 2011
Amarcord
Sole sul tetto dei palazzi in costruzione,
sole che batte sul campo di pallone
e terra e polvere che tira vento e poi magari piove.
Nino cammina che sembra un uomo,
con le scarpette di gomma dura,
dodici anni e il cuore pieno di paura.
Ma Nino non aver paura a sbagliare un calcio di rigore,
non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore,
un giocatore lo vedi dal coraggio,
dall'altruismo e dalla fantasia.
E chissà quanti ne hai visti
e quanti ne vedrai di giocatori che non hanno vinto mai
ed hanno appeso le scarpe a qualche tipo di muro
e adesso ridono dentro a un bar,
e sono innamorati da dieci anni
con una donna che non hanno amato mai.
Chissà quanti ne hai veduti,
chissà quanti ne vedrai.
Nino capì fin dal primo momento,
l'allenatore sembrava contento
e allora mise il cuore dentro alle scarpe
e corse più veloce del vento.
Prese un pallone che sembrava stregato,
accanto al piede rimaneva incollato,
entrò nell'area,
tirò senza guardare ed il portiere lo fece passare.
Ma Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore,
non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore,
un giocatore lo vedi dal coraggio,
dall'altruismo e dalla fantasia.
Il ragazzo si farà,
anche se ha le spalle strette,
questo altro anno giocherà con la maglia numero sette.
sole che batte sul campo di pallone
e terra e polvere che tira vento e poi magari piove.
Nino cammina che sembra un uomo,
con le scarpette di gomma dura,
dodici anni e il cuore pieno di paura.
Ma Nino non aver paura a sbagliare un calcio di rigore,
non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore,
un giocatore lo vedi dal coraggio,
dall'altruismo e dalla fantasia.
E chissà quanti ne hai visti
e quanti ne vedrai di giocatori che non hanno vinto mai
ed hanno appeso le scarpe a qualche tipo di muro
e adesso ridono dentro a un bar,
e sono innamorati da dieci anni
con una donna che non hanno amato mai.
Chissà quanti ne hai veduti,
chissà quanti ne vedrai.
Nino capì fin dal primo momento,
l'allenatore sembrava contento
e allora mise il cuore dentro alle scarpe
e corse più veloce del vento.
Prese un pallone che sembrava stregato,
accanto al piede rimaneva incollato,
entrò nell'area,
tirò senza guardare ed il portiere lo fece passare.
Ma Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore,
non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore,
un giocatore lo vedi dal coraggio,
dall'altruismo e dalla fantasia.
Il ragazzo si farà,
anche se ha le spalle strette,
questo altro anno giocherà con la maglia numero sette.
giovedì 9 giugno 2011
venerdì 27 maggio 2011
domenica 24 aprile 2011
Pasqua 2011
È una strana preghiera, Signore Gesù, quella che nasce spontanea dal mio cuore in questa notte di pasqua. Non ha origini nel mondo della bibbia e nemmeno in quello delle devozioni e riti della settimana santa. Forse è una preghiera post-moderna, empia. Ma così è nata e così la porgo a te. Ti prego, Signore Gesù, avendo negli occhi e nel cuore il computer. Forse perché è diventato il mio strumento di lavoro principale, o forse perché ormai abita tutta la nostra vita, ma proprio il computer mi ha ispirato questa preghiera "informatica".
Fammi vedere, Signore Gesù, che, grazie alla tua pasqua, tu sei l’unico sfondo possibile al mio desktop, e che da quello sfondo e in quello sfondo si aprono tutte le mie finestre, icone della tua irruzione d’amore nella mia storia ma anche icone del mio grido alla Tua presenza. Accogli e visualizza in quello sfondo la finestra dei miei sentimenti e delle mie passioni, la finestra dei miei pensieri segreti e quella delle mie vane chiacchiere, la finestra del mio passato e quella del mio futuro, passando per il diario del mio presente. La finestra dove memorizzo la mia vita economica e quella sociale, il mio studio e la mia pigrizia, la mia famiglia e i miei rapporti, la mia parrocchia e le mie solitudini, il mio ambito laico e quello religioso, i miei vizi nascosti e le mie apparenti virtù. Tutta la mia vita, tutte le mie finestre in te, nel grande schermo capace di dare senso ed unità ai tanti frammenti.
Lo so che non c’è finestra della mia vita che non abbia in te la sua origine e in te il suo orizzonte, ma a volte la mia indifferenza ed una falsa religiosità mi portano a creare file invisibili, nascosti nei meandri della rete della vita. Eppure “se salgo in cielo là tu sei, se scendo negli inferi eccoti”. Fammi capire, Signore, che non sono il Codice da Vinci né il codice genesi e rivelarmi chi tu sei e chi sono io, ma è solo il codice binario dove tu sei l’UNO ed io lo ZERO. Dove L’UNO senza lo zero è solo una distanza infinita, una perfetta solitudine, e dove lo ZERO senza l’uno è solo un vuoto incolmabile, una serie ininterrotta di occasioni mancate e perse per sempre. Ma insieme L’UNO e lo ZERO, legati in una comunione inscindibile, creeremo un linguaggio veloce e per tutti.
Rendimi attento, Signore, anche al suono dell’allarme antivirus, segnale che il male, subdolo ed invisibile, si può insinuare nella grande rete della vita. E quando nella navigazione incapperò nel gatto e la volpe della fede aiutami a cliccare di nuovo su di Te. Ad aprire una feritoia attraverso la quale Tu puoi rimettere ordine al tutto.
Ed infine fa che tutto questo non accada solo per me.
Amen
Fammi vedere, Signore Gesù, che, grazie alla tua pasqua, tu sei l’unico sfondo possibile al mio desktop, e che da quello sfondo e in quello sfondo si aprono tutte le mie finestre, icone della tua irruzione d’amore nella mia storia ma anche icone del mio grido alla Tua presenza. Accogli e visualizza in quello sfondo la finestra dei miei sentimenti e delle mie passioni, la finestra dei miei pensieri segreti e quella delle mie vane chiacchiere, la finestra del mio passato e quella del mio futuro, passando per il diario del mio presente. La finestra dove memorizzo la mia vita economica e quella sociale, il mio studio e la mia pigrizia, la mia famiglia e i miei rapporti, la mia parrocchia e le mie solitudini, il mio ambito laico e quello religioso, i miei vizi nascosti e le mie apparenti virtù. Tutta la mia vita, tutte le mie finestre in te, nel grande schermo capace di dare senso ed unità ai tanti frammenti.
Lo so che non c’è finestra della mia vita che non abbia in te la sua origine e in te il suo orizzonte, ma a volte la mia indifferenza ed una falsa religiosità mi portano a creare file invisibili, nascosti nei meandri della rete della vita. Eppure “se salgo in cielo là tu sei, se scendo negli inferi eccoti”. Fammi capire, Signore, che non sono il Codice da Vinci né il codice genesi e rivelarmi chi tu sei e chi sono io, ma è solo il codice binario dove tu sei l’UNO ed io lo ZERO. Dove L’UNO senza lo zero è solo una distanza infinita, una perfetta solitudine, e dove lo ZERO senza l’uno è solo un vuoto incolmabile, una serie ininterrotta di occasioni mancate e perse per sempre. Ma insieme L’UNO e lo ZERO, legati in una comunione inscindibile, creeremo un linguaggio veloce e per tutti.
Rendimi attento, Signore, anche al suono dell’allarme antivirus, segnale che il male, subdolo ed invisibile, si può insinuare nella grande rete della vita. E quando nella navigazione incapperò nel gatto e la volpe della fede aiutami a cliccare di nuovo su di Te. Ad aprire una feritoia attraverso la quale Tu puoi rimettere ordine al tutto.
Ed infine fa che tutto questo non accada solo per me.
Amen
sabato 23 aprile 2011
venerdì 8 aprile 2011
domenica 3 aprile 2011
2 anni o forse 2 minuti.
Ho paura che il mio pensiero per il 6 aprile possa suonare blasfemo o ironico, eppure non riesco a trattenermi dal dire a me stesso e agli amici di L’Aquila: buon compleanno. No, non sono impazzito, credo che tutti noi, i sopravvissuti, siamo nati in quella tragica notte, a tutti noi è stata donata una nuova vita. Una vita che è costata il sangue e la morte di nostra madre, di questa nostra magnifica città, distrutta nelle sue 308 vittime e sfigurata nei suoi tanti monumenti e case. Un compleanno, il nostro, carico di dolore e di speranza, fatto di morte e di vita. Come tutti gli anniversari importanti anche questo non dovrà essere consumato nell’orgia dei tanti contatti, ma forse mettendo le quattro frecce alla macchina della vita, che corre veloce, per prenderci un attimo di pausa. Si, gli anniversari sono il tempo della calma riflessione, sono la piazzola di sosta che permette di guardare alla cartina e capire se la direzione seguita è quella giusta. Non so voi come vivrete questo secondo anniversario del terremoto, so però come lo vivrò io. Metterò, appunto le quattro frecce e me ne starò in casa. Non andrò a fiaccolate notturne o diurne, non manifesterò contro qualcuno o a suo favore, non andrò a sentire i rintocchi delle campane ne mi armerò di carriole, non andrò ad accogliere alcuna autorità, ne contesterò quelle che comunque verranno, diserterò le commemorazioni e le messe solenni. Si, me ne starò tranquillo a casa a godermi un tetto ritrovato dopo tanto pellegrinare tra tende e camere d’albergo. Mi guarderò in giro lasciandomi accarezzare dalla presenza del poco che ho salvato dalle macerie e che sono quella sottile linea che mi lega ad un passato sempre più remoto e che, al contempo ,mi aiuta a ricordare la grande fortuna di non essere sfociato nel trapassato. Forse qualche lacrima righerà il mio volto al ricordo di ciò che è irrimediabilmente perso. Mi verranno in mente foto ormai lacere tra le pietre e lettere perse per sempre, ma questo mi aiuterà ad amare di più le persone che c’erano in quelle foto e i sentimenti espressi in quelle lettere. Ripenserò alle tazzine da caffè di Van Gogh, regalo dei miei parrocchiani per l’ultimo compleanno pre-terremoto, e allora via, in macchina, da loro per dire a me stesso che un caffè in compagnia è ancora possibile, alla faccia del terremoto che pensava di rubarci i momenti di felicità. Percorrerò in lungo e in largo i luoghi dell’esilio forzato e mi verranno in mente i tanti sorrisi e gesti di accoglienza che hanno trasfigurato l’esilio facendo di esso il luogo della salvezza. Chiuderò gli occhi e tornerò a passeggiare per via san Marciano, piazzetta del Cardinale, via santa Chiara d’Aquili e le altre strade della parrocchia e il ricordo della vita che pulsava sarà speranza di rinascita e, quando tra le macerie scorgerò un piccolo fiore spontaneo chiederò al Signore della vita di avere un occhio di riguardo per coloro che in quella notte lo hanno raggiunto tremanti ed impolverati. Tutto questo farò dal profondo silenzio della casa in cui vivo e nessuno se ne accorgerà. Ed infine prenderò in mano il cellulare e a tutti i nomi presenti in rubrica manderò un brevissimo sms, scrivendo semplicemente: ti voglio bene.
venerdì 18 marzo 2011
Appuntamento per stasera.
Cari amici del blog stasera su tv uno l'intervista del direttore Mario Narducci, nel corso del programma Linea Aquilana, nella quale si parlerà del mio libro sul terremoto. Ci vediamo davanti allo schermo?!
L'orario previsto per la messa in onda è le 21,00 circa (forse anche pochi minuti prima). Si può seguire anche sul web all'indirizzo www.tvunoaq.tv
lunedì 7 marzo 2011
Luoghi di confine.
A volte mi sorprendo nelle mie stranezze.
Purtroppo capita di dover fare dei funerali in parrocchia. E' questo un servizio che mi pesa incredibilmente ma capisco che la paternità di Dio e la materna vicinanza della Chiesa hanno bisogno di me per esprimersi. Mi sono accorto però che dopo ogni funerale son dovuto scappare in una videoteca per sublimare con l'acquisto di un film (l'ultimo titolo acquistato è "Cado dalle nubi" di Checco Zalone, un mito). Mi ritrovo così una piccola videoteca personale fatta di titoli assolutamente non all'altezza di un prete, quasi tutti i cinepanettoni natalizi, le varie estati ai tropici e i natali nei paesi sperduti del 1°, 2° e 3° mondo. Il guaio è che riescono a farmi ridere. Nemmeno l'ironia di chi mi conosce riesce ad inibirmi un simile comportamento:-)
Quando invece è la vita della comunità ad indispormi (comunità in ogni senso, non solo comunità parrocchiale, ma anche una eccessiva frequentazione di confratelli, o la pesante burocrazia di certi procedimenti canonici o i tanti timbri e certificati da preparare per nozze, prime comunioni, cresime, avventi e quaresime varie, nonchè feste patronali e quant'altro) allora corro in libreria alla ricerca di un po' d'ossigeno. Ho bisogno di aprire le finestre di questa virtuale sacrestia per far cambiare l'aria naftalinica che si respira.
In una di queste fughe nel mondo sono incappato in due libri che mi hanno riossigenato.
Uno di questi è l'utimo libro di Erri de Luca (del quale riporto la copertina), uscito una decina di giorni fa. Un libro dove il soffio dello Spirito riesce a pervadere ogni pagina e da questa si spande nell'aria del lettore circondandolo di una strana sensazione di libertà e di euforia. Che bello vedere ancora una volta la verità delle parole di Gesù: lo Spirito soffia dove vuole.
Che bella questa frequentazione delle zone del dubbio, del confine, questa "Galilea delle genti" dove è possibile incontrare la magnifica concretezza della vita, una umanità feriale e ferita e per questo libera di mendicare ovunque alla ricerca di una possibile guarigione.
Lontano da ogni asfissia clericale.
Grazie Erri se mai leggerai questo post, un grazie che nell'abbraccio di Cristo ti raggiunge già ora seppur in modo misterioso.
p.s. Del secondo libro acquistato forse ve ne parlerò in una prossima puntata.
Purtroppo capita di dover fare dei funerali in parrocchia. E' questo un servizio che mi pesa incredibilmente ma capisco che la paternità di Dio e la materna vicinanza della Chiesa hanno bisogno di me per esprimersi. Mi sono accorto però che dopo ogni funerale son dovuto scappare in una videoteca per sublimare con l'acquisto di un film (l'ultimo titolo acquistato è "Cado dalle nubi" di Checco Zalone, un mito). Mi ritrovo così una piccola videoteca personale fatta di titoli assolutamente non all'altezza di un prete, quasi tutti i cinepanettoni natalizi, le varie estati ai tropici e i natali nei paesi sperduti del 1°, 2° e 3° mondo. Il guaio è che riescono a farmi ridere. Nemmeno l'ironia di chi mi conosce riesce ad inibirmi un simile comportamento:-)
Quando invece è la vita della comunità ad indispormi (comunità in ogni senso, non solo comunità parrocchiale, ma anche una eccessiva frequentazione di confratelli, o la pesante burocrazia di certi procedimenti canonici o i tanti timbri e certificati da preparare per nozze, prime comunioni, cresime, avventi e quaresime varie, nonchè feste patronali e quant'altro) allora corro in libreria alla ricerca di un po' d'ossigeno. Ho bisogno di aprire le finestre di questa virtuale sacrestia per far cambiare l'aria naftalinica che si respira.
In una di queste fughe nel mondo sono incappato in due libri che mi hanno riossigenato.
Uno di questi è l'utimo libro di Erri de Luca (del quale riporto la copertina), uscito una decina di giorni fa. Un libro dove il soffio dello Spirito riesce a pervadere ogni pagina e da questa si spande nell'aria del lettore circondandolo di una strana sensazione di libertà e di euforia. Che bello vedere ancora una volta la verità delle parole di Gesù: lo Spirito soffia dove vuole.
Che bella questa frequentazione delle zone del dubbio, del confine, questa "Galilea delle genti" dove è possibile incontrare la magnifica concretezza della vita, una umanità feriale e ferita e per questo libera di mendicare ovunque alla ricerca di una possibile guarigione.
Lontano da ogni asfissia clericale.
Grazie Erri se mai leggerai questo post, un grazie che nell'abbraccio di Cristo ti raggiunge già ora seppur in modo misterioso.
p.s. Del secondo libro acquistato forse ve ne parlerò in una prossima puntata.
lunedì 7 febbraio 2011
Che razza di prediche.
Oggi avevo un gran voglia... d'ascoltare una bella omelia, sono incappato invece in sterili prediche. Vi potrà sembrare strano ma a volte anche un prete sente il bisogno di ascoltare un'omelia, cioè una ermeneutica della Parola per me, per la mia vita. Vado indietro con il ricordo e mi tornano alla mente e al cuore le omelie del mio viceparroco negli anni della mia adolescenza. Omelie spesso contestate, a volte giudicate dure ma sempre coinvolgenti, appassionate e vere. Negli anni più recenti ricordo le omelie, rare e per questo maggiormente desiderate, del mio rettore di seminario, dove sapienza e sguardo la facevano da padroni. Omelie capaci di aprirti il cuore, omelie della penultima possibilità, mai diventata ultima. Parole capaci di leggerti e farti scoprire dentro un grande orizzonte di senso. Ecco oggi era uno di quei giorni, avevo una gran voglia di ascoltare una passione, di incontrare lo sguardo di un innamorato, non di me ma di Lui. Ho cercato tutto ciò forse nel posto sbagliato: la tv. La tv ti vende di tutto, fa apparire il superfluo come necessario e ti chiedi come hai fatto a vivere sino ad oggi senza quel particolare fino pasto che favorisce la digestione, come mi son permesso di massacrare il mio stomaco per tanti e tanti anni, costringendolo ad estenuanti digestioni solitarie senza alcun ausilio? Come mai sono stato così indulgente con i radicali liberi? Perchè ho privato il mio organismo del bifidus acti qualche accidenti strano? A questa agenzia interinale mi sono rivolto nel tentativo di trovare tra i suoi scaffali anche l'omelia per me. Ed eccomi pellegrino sulle strade dell'etere passando da una messa su di una tv nazionale ad una su una tv locale, transitando pure da una rubrica religiosa tenuta da un seducente frate, forse troppo seducente e poco conducente. Amici miei, inutile dirvi che nulla ho trovato di ciò che cercavo. Parole, parole, parole dove la Parola era la grande assente, o peggio, solo un pretesto per giustificare quella vana e vuota eloquenza. Una pagine di vangelo quella di oggi che farebbe sperare i morti e che invece riusciva a stendere i vivi. "Voi siete il sale della terra..., voi siete la luce del mondo" queste le parole di Gesù, rovinosamente tradotte con un imperativo moralistico. Tutti e tre i preti incontrati sulle diverse frequenze televisive hanno esordito dicendo che: "Oggi Gesù ci dice che dobbiamo diventare sale della terra e luce del mondo". Ma basta leggere il testo per accorgersi che questo moralismo kantiano è del tutto estraneo al testo. Mi ribello a questo semplicemente perché non è vero. In un mondo dove le parole sono banalizzate se anche un prete banalizza e violenta la Parola allora non c'è più speranza. Ho fatto partecipi di questo sgomento i miei parrocchiani. Li ho guardati in faccia e ho chiesto loro: Avete mai detto al vostro ragazzo o alla vostra ragazza "Tu devi diventare più bella/o" o non piuttosto "Sei la donna più bella del mondo" o anche "Sei il ragazzo più bello che io abbia mai visto"? La parola dell'altro/a mi rende bello/a, così come la parola di Gesù e l'incontro con Lui mi ha reso sale e luce. Devo solo prendere coscienza, accogliere in me questa dignità e bellezza originaria, costitutiva. Io sono il sapore, il profumo, la luce, il calore, do gusto ed inebrio, do forma a ciò che mi circonda e scaldo ciò che entra nella sfera della mia esistenza. Tutto questo non come esito di un mio sforzo (umano e quindi fallibile) ma per la gratuità di uno sguardo d'amore che vede in me cose che nemmeno io stesso vedo in me. Un Gesù perdutamente innamorato dell'uomo è quello del vangelo di oggi e non un teologo morale ne tantomeno un insegnate di galateo o di educazione civica.
martedì 18 gennaio 2011
Un disastro.
Sarà perché oggi c'è stato il ritiro del clero (un evento che ha sempre il potere di turbarmi), sarà perché mi disturba la supponenza e l'arroganza di alcuni confratelli, fatto sta che oggi mi trovo particolarmente riflessivo. Mi capita ogni mattina, quando alzo la tapparella della mia camera, di restare stupito di fronte allo spettacolo che mi si para davanti. Con lo sguardo posso infatti percorrere le cime del Gran Sasso e da lontano le vette della Maiella e poi ancora l'altipiano delle Rocche. Ogni colore del cielo ti aiuta a vedere nuovi particolari, contorni e colori mai uguali. Ogni giorno ed ogni ora è foriera di novità e quindi di stupore. A volte le nuvole più basse del mio balcone, a volte le fitte nebbie, a volte il sereno e le tante tonalità di grigio e le tante forme delle nuvole. Ogni mattina è l'esperienza di una novità.
C'è comunque un altro motivo all'origine di questo post. Le veloci e brevi incursione tra le macerie della mia canonica mi stanno permettendo di recuperare alcuni libri, a volte già letti e sottolineati, a volte solo sfogliati, poche volte intonsi. Dovendoli spolverare uno ad uno per tentare di liberarli dalle pietre e dai calcinacci poi capita di metter da parte alcuni titoli con la sete di riprenderli in mano, di inebriarsi di nuovo a quella sapienza in essi contenuta.
Ecco proprio lo stupore di fronte alla natura e la rinnovata possibilità di accedere ad alcuni testi significativi (e mettiamoci anche il ritiro del clero ed i confratelli poco eleganti) mi hanno portato a riflettere su cosa oggi nella chiesa è capace di destare entusiasmo e stupore. La mattina, appena sveglio, non vedo l'ora di dare uno sguardo fuori per vedere lo spettacolo che mi è stato riservato. Ma mi chiedo: questo stesso entusiamo lo provo anche nei riguardi di questa mia chiesa? C'é qualcosa per cui vale la pena, o meglio qualcosa che invita al sentimento dello stupore e della gratitudine? Beh ok, tu fratello ortodosso e santo mi richiamerai alla costante Presenza di Cristo, perenne ed unica novità di ogni vita cristiana e quindi anche presbiterale. Ma io parlo di qualcosa di più terreno, di umano. Mi guardo in giro in cerca di profeti e santi, di spazi di libertà ed intelligenza, di fantasia e forse anche di utopia, e quanta fatica faccio a trovarne. Si mi vengono alla mente Enzo Bianchi e la sua esperienza monastica di Bose, ci leggo i segni della perenne azione dello Spirito, mi viene in mente Kiko (non sono neocatecumenale ma questo non mi impedisce di vedere l'entusiasmo con il quale questi nostri fratelli evangelizzano usando catechesi, canto, liturgia, carità...) e forse don Ciotti. Eppure mi sembrano poche tre sole esperienze. Ripenso agli anni della mia infanzia e prima giovinezza e mi vengono in mente figure alte, significative, poco avvezze alle corone cortigiane. Don Milani, padre Balducci, don Barsotti, padre Calati, padre Turoldo, don Giussani, madre Teresa, il card. Martini ma anche il card. Biffi, Chiara Lubich e don Di Liegro, Frere Roger e Taizè, don Tonino Bello. Laici quali Aldo Moro e De Gasperi, Bachelet e Livatino, La Pira, Lazzati. Uomini giudicati di destra o di sinistra secondo un criterio umano troppo orizzontale, uomini dell'alto secondo un criterio cristiano, cristiani passionali ed appassionati, fonti alle quali dissetarsi, pungoli che impedivano i nostri sonni piccoli borghesi. Ed oggi?
Cortigiane... solo cortigiane!
C'è comunque un altro motivo all'origine di questo post. Le veloci e brevi incursione tra le macerie della mia canonica mi stanno permettendo di recuperare alcuni libri, a volte già letti e sottolineati, a volte solo sfogliati, poche volte intonsi. Dovendoli spolverare uno ad uno per tentare di liberarli dalle pietre e dai calcinacci poi capita di metter da parte alcuni titoli con la sete di riprenderli in mano, di inebriarsi di nuovo a quella sapienza in essi contenuta.
Ecco proprio lo stupore di fronte alla natura e la rinnovata possibilità di accedere ad alcuni testi significativi (e mettiamoci anche il ritiro del clero ed i confratelli poco eleganti) mi hanno portato a riflettere su cosa oggi nella chiesa è capace di destare entusiasmo e stupore. La mattina, appena sveglio, non vedo l'ora di dare uno sguardo fuori per vedere lo spettacolo che mi è stato riservato. Ma mi chiedo: questo stesso entusiamo lo provo anche nei riguardi di questa mia chiesa? C'é qualcosa per cui vale la pena, o meglio qualcosa che invita al sentimento dello stupore e della gratitudine? Beh ok, tu fratello ortodosso e santo mi richiamerai alla costante Presenza di Cristo, perenne ed unica novità di ogni vita cristiana e quindi anche presbiterale. Ma io parlo di qualcosa di più terreno, di umano. Mi guardo in giro in cerca di profeti e santi, di spazi di libertà ed intelligenza, di fantasia e forse anche di utopia, e quanta fatica faccio a trovarne. Si mi vengono alla mente Enzo Bianchi e la sua esperienza monastica di Bose, ci leggo i segni della perenne azione dello Spirito, mi viene in mente Kiko (non sono neocatecumenale ma questo non mi impedisce di vedere l'entusiasmo con il quale questi nostri fratelli evangelizzano usando catechesi, canto, liturgia, carità...) e forse don Ciotti. Eppure mi sembrano poche tre sole esperienze. Ripenso agli anni della mia infanzia e prima giovinezza e mi vengono in mente figure alte, significative, poco avvezze alle corone cortigiane. Don Milani, padre Balducci, don Barsotti, padre Calati, padre Turoldo, don Giussani, madre Teresa, il card. Martini ma anche il card. Biffi, Chiara Lubich e don Di Liegro, Frere Roger e Taizè, don Tonino Bello. Laici quali Aldo Moro e De Gasperi, Bachelet e Livatino, La Pira, Lazzati. Uomini giudicati di destra o di sinistra secondo un criterio umano troppo orizzontale, uomini dell'alto secondo un criterio cristiano, cristiani passionali ed appassionati, fonti alle quali dissetarsi, pungoli che impedivano i nostri sonni piccoli borghesi. Ed oggi?
Cortigiane... solo cortigiane!
mercoledì 5 gennaio 2011
Eterodiretta. Che belle parole.
Dopo aver arricchito il nostro vocabolario con termini quali C.A.S.E, M.A.P., M.U.S.P., INGV, ed altri post terremoto, stavolta è toccato al sindaco contribuire ad un ulteriore arricchimento linguistico: Eterodiretta. Si, proprio dopo l'intervista rilasciato da mon. Nozza, direttore nazionale della Caritas Italiana, il nostro sindaco ha rispolverato questo bel termine per rivendicare la sua autorità e competenza sulla ricostruzione di L'Aquila. L'Aquila non è terra di missione, secondo Cialente, quindi, cari signori dateci i soldi e poi toglietevi dalle scatole che a spenderli ci pensiamo noi. Dal 31 gennaio 2010 in poi, giorno del passaggio di consegne tra la protezione civile e le amministrazioni locali, tutti ci siamo accorti di un immobilismo devastante. Mancano non solo i fatti ma anche le idee. Manca un progetto a lunga scadenza per questa città, manca una direzione verso cui camminare. Manca un coinvolgimento delle istituzioni con la vita concreta dei cittadini. Proprio stamattina ho notato un parco giochi (?) all'incrocio che dal cimitero porta verso il centro commerciale, andatelo a vedere cari amici e la domanda sorge spontanea: E' questa l'idea di luoghi di socializzazione di cui si parla nella conferenza stampa di Cialente, Pezzopane, Di Stefano? Stiamo freschi! Lungi da me difendere la Caritas, non mi compete. La caritas, attraverso la sua base, si difende da sola. Ricordo solo al sindaco e compagni (senza riferimenti politici) che se non fosse stato per i ragazzi della caritas che hanno donato i tre mesi di vacanze estive alla nostra città il parco del sole sarebbe ancora invaso da cartacce, erbacce, siringhe, ricordi dei cani e chi più ne ha più ne metta; se non fosse stato per i giovani volontari coordinati dalla caritas i nostri bambini e ragazzi avrebbero trascorso un'estate da schifo. Nella parrocchia di Gignano ogni settimana si sono dati la staffetta circa 120 ragazzi che, autogestiti e tutto completamente a proprie spese, hanno dato vita al GREST (Gignano, Collebrincioni, san Giacomo, Torrione, Baden Powel), hanno animato le giornate degli anziani di alcune case di riposo (Fontecchio, san Demetrio), hanno ripulito le strade della città e della periferia, sino a Lucoli ed anche oltre, hanno garantito il servizio d'ordine nelle 24 ore della Perdonanza, hanno ripulito il parco del sole e quello del castello, hanno visitato le famiglie dei progetti C.A.S.E. e M.A.P., visita spesso accompagnata dai pacchi viveri perchè, cara signora Pezzopane, come lei ben sa, dare una casa con un servizio di piatti per 18 a chi ha perso non solo la casa ma anche il lavoro è proprio una bella fregatura, il danno e la beffa... Ricordo anche l'impegno della caritas a garantire nelle varie tendeamiche sparse per il territorio il riscaldamento necessario alle attività di questi luoghi di socializzazione, perché socializzare a -15° non è facile. Queste non erano iniziative eterodirette? Ma poi quale è l'opposto di eterodirette? Forse omodirette?! Se quelle omodirette sono come il parco giochi che ho visto stamattina o come la voragine di soldi messi in preventivo per la ristrutturazione della scuola De Amicis (vero mostro da abbattere più che salvare) allora ben venga l'eterodirezione. Infine, per inciso, vorrei ricordate alla signora Pezzopane, che pure ho visto presente sulla costa quando la caritas organizzava momenti di preghiera e convivialità nelle strutture alberghiere, come mai ora si sta sempre più chiudendo nelle stanze del potere? Appena nominato parroco a Gignano (agosto 2010) l'ho invitata personalmente e per sms a trascorrere con i volontari una serata, un momento di condivisione, anche solo una semplice cena... la stiamo ancora aspettando. All'assessore Di Stefano, che ha parlato di una notevole ed impossibile modifica da apportare al piano regolatore per dare esito ai progetti presentati dalla caritas, da ex geometra vorrei ricordare che la più grande modifica al piano regolatore l'ha già apportata il terremoto senza bisogno di delibere e decreti, la seconda modifica è stata apportata dal Governo e dalla Protezione Civile (dove è più la zona di rispetto cimiteriale ad esempio a Preturo con i M.A.P. vista tombe o anche in quello dell'Aquila con la Torretta che ormai confina e spesso sconfina nel cimitero). Infine un appello a mons. Nozza. Gentile confratello a Gignano abbiamo il terreno di proprietà su cui era costruita la nostra chiesa, fatta demolire a poche ore dal terremoto con un atto a dir poco insipente, abbiamo bisogno di una nuova chiesa e di locali per le attività parrocchiali. Non è necessaria alcuna modifica al Piano regolatore ne alcun cambio di destinazione d'uso, ma da soli non possiamo farcela, nonostante tutti stiamo mettendo da parte un caffè al giorno... Ci pensi don Vittorio e poi ci faccia sapere.
Iscriviti a:
Post (Atom)